Processo giuridico, formulato a tutti i livelli, che ha condotto alla definizione legislativa delle c.d. società “in house”
La questione in ordine alle modalità di erogazione dei servizi, soprattutto a carattere essenziale, da parte degli enti pubblici è stata, da sempre, oggetto di un forte dibattito tra due posizioni opposte: la prima esalta la necessità di una gestione diretta da parte del soggetto pubblico (concedente) attraverso, per esempio, uno schema societario; un’altra posizione, invece, ravvede la convenienza, in termini di efficienza e qualità, dell’erogazione a mezzo di un soggetto privato che, sotto la propria responsabilità, organizza i fattori della produzione ricalcando lo schema tipico dell’appalto.
A prescindere da ogni considerazione di merito circa l’opportunità di uno o dell’altro schema, appare utile ripercorrere il processo giuridico, formulato a tutti i livelli (europeo e nazionale), che ha condotto alla definizione legislativa delle c.d. società “in house”.
Appare chiaro che tale schema rappresenta una deroga ad uno dei principi cardine dell’UE, ossia il regime della concorrenza che vede quale estrinsecazione pratica nell’affidamento di un servizio a mezzo di procedure competitive a raggio europeo.
Il concetto in commento trova la sua origine in una pronuncia della giurisprudenza comunitaria, la sentenza Teckal del 1999, la quale ha indicato i requisiti necessari ai fini della configurazione dell’“in house”: 1) il controllo analogo 2) lo svolgimento dell’attività, in via prevalente, a favore dell’ente controllante. La pronuncia in commento nasce dal ricorso proposto dinanzi al Tar (giudice amministrativo di prime cure) dalla Teckal srl avverso la decisione del Comune di Viano di affidare, senza dar luogo ad una procedura competitiva, la gestione del servizio di riscaldamento di alcuni uffici comunali alla società da questo controllata. Il giudice amministrativo, nell’ambito della sua prerogativa di adire la Corte di Giustizia sulle vertenze che riguardano gli ambiti di applicazione della normativa europea, ha aperto un procedimento incidentale per sciogliere il nodo interpretativo in ordine alla legittimità dell’affidamento oggetto della controversia.
Il fondamento giuridico di tale pronuncia è ravvisabile nella considerazione che, al ricorrere dei requisiti di cui sopra, risulta assente quella situazione di alterità (ossia soggettività giuridica distinta) tra l’Amministrazione concedente e l’ente aggiudicatario necessaria per il ricorso alle procedure di evidenza pubblica.
Per quello che concerne il requisito del “controllo analogo”, in un primo momento interpretato dalla giurisprudenza comunitaria nel suo aspetto formale quale controllo c.d. strutturale (partecipazione totalitaria dell’ente concedente quale condizione necessaria), ha acquisito un’accezione “sostanziale” grazie all’integrazione interpretativa dell’effettiva possibilità, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, di influenzare sia le decisioni importanti sia, di conseguenza, gli obiettivi strategici della società controllata (Corte di Giustizia UE, 13 ottobre 2005, caso Parking Brixen).
Tale interpretazione del requisito in commento ha prodotto un ulteriore dibattito giurisprudenziale il quale ha per oggetto la natura giuridica delle società partecipate: un primo, sancisce che le società in house non siano un vero e proprio soggetto giuridico (difettando del requisito dell’alteralità) ma solo una proiezione concreta dell’ente pubblico al punto di mettere in dubbio la configurazione di “un rapporto contrattuale tra due soggetti distinti”; il secondo, all’opposto, decreta che le società in house devono considerarsi società di natura privata dotata di una propria autonoma soggettività giuridica. La scelta tra una o l’altra prospettiva non è un esercizio meramente formale ma incide, in modo concreto, sulla disciplina legislativa applicabile a tali società: nel primo caso, l’applicazione del regime delle pubbliche amministrazioni; nel secondo, che vede le società in house una persona giuridica di diritto privato, l’applicazione del regime privatistico con apposite deroghe.
Il Dlgs n. 175/2016 (decreto di attuazione della Legge Madia) sembra assecondare la seconda prospettiva, soprattutto, sulla scorta dell’art. 5 il quale prevede espressamente l’ipotesi di applicazione della legge fallimentare alle società in commento (l’art. 1 della Legge Fallimentare esclude che le amministrazioni pubbliche possano essere assoggettate alle procedure ivi contenute).
Il controllo analogo, inoltre ha introdotto un ulteriore requisito: la totale partecipazione dell’ente alla società in house. Per quello che concerne tale requisito, l’interpretazione restrittiva, in un primo momento, sembrava considerare la presenza di soci privati quale “causa ostativa all’affidamento diretto”. Successivamente, è stata assunta dalla giurisprudenza nazionale un assetto meno rigido, secondo il quale la presenza dei soci quale ostacolo all’”in house” è ravvisabile solo nel momento della stipula della convenzione (Cass. N. 371/05).
L’ultimo tassello in ordine all’evoluzione del requisito della partecipazione trova il suo consolidamento definitivo nella previsione dell’art. 12 della Direttiva UE 2014/24 (rubricata “Appalti pubblici nell’ambito del settore pubblico”) il quale prevede un’eccezione alla partecipazione totalitaria ravvisabile, a tenore in “…forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”. In buona sostanza, è ammessa la partecipazione dei privati nel capitale dell’”in house”, a condizione che questa non pregiudichi il potere di indirizzo dell’ente concedente. Un ulteriore trattazione merita l’ultimo requisito necessario alla configurazione dello schema “in house”: lo svolgimento dell’attività, in via prevalente, a favore dell’ente controllante.
Anche quest’ultimo è stato oggetto di un dibattito giurisprudenziale il quale è stato definito dall’art 12 della Direttiva UE 2014/24 che fissa un criterio oggettivo: infatti, oltre l’80% dell’attività della società in house deve essere indirizzata direttamente nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice ovvero, indirettamente, nei confronti di altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione stessa. Di conseguenza, la parte rilevante del fatturato della partecipata deve essere riferito all’attività svolta nei confronti dell’ente concedente ma questo non significa escludere la possibilità di rivolgersi ad altri committenti/clienti
L’elaborazione giurisprudenziale è stata, successivamente, positivizzata dalle direttive europee 2014/23/Ue per le concessioni, 2014/24/Ue per i servizi classici, 2014/25/Ue per i settori speciali le quali hanno trovato attuazione nel nostro ordinamento attraverso il Dlgs n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) in necessario coordinamento con il Dlgs n. 175/2016 (testo che rappresenta il momento attuativo della legge Madia).