Non è facile in queste settimane svolgere il nostro lavoro. L’emergenza pandemica da Covid-19 si è ormai propagata su tutto il territorio nazionale, creando un clima di timore e smarrimento totale fra i cittadini nel vedere il sistema Italia annaspare di fronte a uno scenario nuovo, ignoto e non paragonabile a niente di quanto già accaduto.Le priorità da affrontare, senza ombra di dubbio, sono nell’ordine: la crisi sanitaria, quella economica, quella di ordine pubblico, quella della mobilità e quella dell’istruzione. Riteniamo corretto che in situazioni come questa sia un bene che siano in pochi a decidere e tutti gli altri a doversi adeguare.Certamente un tale scenario ha poco a che vedere con le forme democratiche che conosciamo e per le quali i nostri avi hanno lottato, sofferto e perso la vita. Ma anche oggi è in gioco la nostra vita ed è difficile mettere in discussione il fatto che, al fine di tentare di mitigare gli effetti epidemici dal 23 febbraio scorso, il governo abbia dovuto emanare diversi decreti d’urgenza, inerenti misure in materia di contenimento e di gestione dell’emergenza sempre più stringenti rispetto alle libertà individuali.Meno giustificabile e comprensibile, invece è che sia il governo sia la maggioranza e financo l’opposizione in questi giorni abbiano alternato messaggi diversi e spesso contraddittori, gettando nello sconcerto, più di quanto già non fosse, la popolazione e scatenando le schermaglie delle opposte fazioni. In Italia, purtroppo, si tifa su tutto! Neanche in momenti come questo si riesce a cercare obiettivamente di comprendere la situazione, si riesce a consentire a chi ha competenze e buone idee di poterle manifestare senza ricercare il consenso o temere il dileggio degli avversari politici. Siamo fatti così.Noi che facciamo sindacato, in un sindacato che, a prescindere da chi governa, è sempre poco gradito perché l’autonomia e la salvaguardia dei lavoratori sono valori non negoziabili che ci rendono “poco affidabili” agli occhi di chi ragiona in base a logiche di appartenenza e schieramento, non possiamo permetterci di dare indicazioni ondivaghe o false aspettative. Non possiamo permetterci di dare giudizi quando non siamo in possesso di tutte le informazioni e delle dovute conoscenze. Non lo facciamo mai. Non lo faremo – a maggior ragione – ora.Quindi in questi giorni ci siamo astenuti dal prendere posizione sulla gestione dell’emrgenza, dal dire la nostra. Abbiamo accettato e continueremo ad accettare le indicazioni e le direttive che arrivavano e continuano ad arrivare dalle istituzioni. Questo però non ci impedisce, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, di restare con gli occhi bene aperti. E ci ricorderemo di chi oggi specula su questa situazione da posizioni di privilegio o di maggiore responsabilità.Fin da ora, tuttavia, non possiamo tacere su quello che sta accadendo dopo il decreto del 19 marzo 2020 n°18 in tema di finanziamento al sistema sanitario, supporto al credito per famiglie e micro, piccole e medie imprese, sospensione degli obblighi di versamenti per tributi e contributi ecc, fino al sostegno all’occupazione e ai lavoratori per la difesa del lavoro e del reddito. Proprio questo punto, che viene enunciato volutamente per ultimo, fa crescere in noi un senso di rabbia e sconforto. Se il governo, a torto o a ragione, ritiene che servano misure di difesa del lavoro e del reddito, abbiamo molte difficoltà a comprendere la posizione delle imprese a partecipazione pubblica, che stanno chiedendo l’applicazione degli ammortizzatori sociali ma si rifiutano di impegnarsi per garantire la completa tenuta della retribuzione, piangendo miseria per la mancanza degli introiti da mercato.Cerco di essere più chiaro possibile. L’esempio che viene facile è quello delle imprese del TPL, dove le associazioni datoriali stanno denunciando la “inadeguatezza degli interventi”. Giudizio che condividiamo e sosteniamo, ma negare l’integrazione al 100% al personale che deve usufruire degli ammortizzatori sociali come nel caso di specie del Fondo Bilaterale di Solidarietà per il Sostegno al Reddito del personale delle Aziende di Trasporto Pubblico ci sembra un modo, da parte delle aziende, di “speculare” sulla crisi, scaricando i costi sulle retribuzioni. Infatti, visto che vengono mantenuti in piedi i contratti di servizio che coprono il 65% dei costi, visto che gli abbonamenti annuali già sono stati incassati, i ricavi che vengono meno sono solo quelli degli abbonamenti mensili e della bigliettazione giornaliera. Allo stesso tempo, però, le aziende gireranno al minimo regime, risparmiando combustibile, e molte spese dirette di gestione degli uffici amministrativi saranno abbattute grazie all’utilizzo dello smart working.
Auspichiamo che non ci sarà nessuno, tra le parti sociali, disposto a lasciar correre. Noi, certamente, non saremo disposti a farlo. Non è questo il momento, ma il tempo della resa dei conti, prima o poi, arriverà.