AI TRASPORTI SOLO IL 2,5% DELLE RISORSE PER IL RILANCIO. CHI TRAINERA’ LA CRESCITA DEL PAESE?

E’ difficile dire se si poteva fare di meglio. Il Paese è in una fase di estrema difficoltà. E le sostanziose risorse destinate dal decreto Rilancio, al sostegno dei lavoratori, rappresentano di sicuro un tassello determinante per la tenuta, anche sociale, del sistema Italia. Detto ciò, è legittimo chiedersi quale sia la strategia per la ripartenza. E quali sforzi intenda compiere il governo per mettere benzina nel motore del tessuto produttivo. Perché se è vero che gli italiani ora hanno fame, è altrettanto vero che le finanze pubbliche non potranno garantire a lungo le risorse necessarie alla sopravvivenza di un Paese che non riesce più a creare lavoro e ricchezza. Senza voler entrare nel merito dei fondi destinati alle imprese, su cui si è già aperto un intenso dibattito con le categorie, quello che ci preme qui capire è che peso l’esecutivo abbia ritenuto di attribuire ai trasporti nella Fase 2. L’importanza del comparto è nota a tutti. Turismo, commercio, artigianato, manifattura, finanza: tutti i settori della produzione sono appesi allo spostamento di persone e merci. Tutta l’economia dipende dalle aziende che gestiscono i trasferimenti e dalla qualità delle infrastrutture di collegamento via terra, via aria e via mare. Infrastrutture che fanno crescere il pil addirittura prima di essere usate, basta iniziare a costruirle.
E’ con questa consapevolezza che vanno analizzati gli interventi contenuti nel decreto Rilancio. Il menù delle misure presentato dal ministro Paola De Micheli è ricco. Ci sono interventi di ristoro per i pendolari, indennizzi per le società di trasporto, fondi per alcune opere, bonus per favorire la mobilità alternativa in vista della convivenza col virus, soldi per le ferrovie, per il comparto aereo, per il settore marittimo, per il trasporto pubblico locale. L’elenco è lungo e articolato. Ma i numeri, come spesso accade, consentono di fare una brutale sintesi. Stando alle cifre snocciolate dalla stessa De Micheli, salvo modifiche intervenute nelle ultime ore o che arriveranno nel corso dell’esame parlamentare, le risorse complessive destinate al settore dei trasporti nel decreto Rilancio sono poco più di 1,4 miliardi, di cui 500 milioni destinati al Tpl (cifra giudicata dalle aziende del comparto inferiore di due terzi al fabbisogno). Tante o poche? Saranno gli economisti a dirlo. Ciò che per ora balza agli occhi è che si tratta di appena il 2,5% dei 55 miliardi stanziati dall’intero provvedimento. E’ fuori dubbio, come dicevamo prima, che i settori in sofferenza sono molti, che ci sono milioni di lavoratori che rischiano di perdere il posto, milioni di piccole aziende che potrebbero non riaprire, tantissimi italiani da mesi senza stipendio e senza più i soldi neanche per fare la spesa. Il governo ha dovuto quadrare il cerchio, tentando di non lasciare nessuno indietro. Doveroso e condivisibile. Ma qual è il progetto per ripartire se il valore dei trasporti è definito da quel 2,5%? Già sentiamo l’obiezione: nel conto bisogna inserire anche il tesoretto destinato ad Alitalia, la non trascurabile cifra di 3 miliardi di euro. Bene. Analizziamo i fatti. Tutti, soprattutto dopo aver visto ciò che è successo durante la fase più acuta della pandemia, hanno compreso quanto sia strategico avere un vettore nazionale che oltre a stare sul mercato sia in grado di tutelare gli interessi del Paese nel momento del bisogno, come quando si tratta di garantire i collegamenti aerei quando nessuno vuole più volare sui nostri cieli. Il ruolo della ex compagnia di bandiera sarà anche determinante nei prossimi mesi per consentire il ripristino di adeguati flussi turistici. Senza contare la necessità, in questo periodo, di salvaguardare tutti i posti di lavoro, compresi gli 11mila che prestano servizio in Alitalia. E’ presto, adesso, per stabilire se la somma messa a disposizione, che deve essere aggiunta ai fondi pubblici già fin qui spesi per tenere in vita il vettore, sia un prezzo adeguato da pagare per tutto questo. Ma una cosa è certa. Sono trascorsi esattamente tre anni dall’entrata in amministrazione straordinaria della compagnia, scattata il 2 maggio 2017. Salvare la compagnia con l’intervento dello Stato è una decisione che la politica aveva maturato ben prima dell’emergenza Coronavirus, come dimostra il tentativo di acquisizione da parte della cordata capeggiata dalle Ferrovie dello Stato, dalla Cdp e dallo stesso Tesoro. E le difficoltà di Alitalia non sono davvero cominciate con la diffusione del contagio. Confondere questa partita con il “rilancio” del Paese dopo il lockdown rischia di far perdere di vista l’obiettivo. Che è quello di consentire ad uno straordinario volano come quello rappresentato dai trasporti di trainare la crescita. Pensare di aver risolto la questione mettendo 3 miliardi sul piatto per Alitalia e 1,4 sul resto del comparto significa non aver capito fino in fondo cosa sia successo negli ultimi due mesi e, soprattutto, non riuscire a comprendere con esattezza cosa accadrà nei prossimi.

Categoria: L'Editoriale

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