IL CONTROLLO SUI LAVORATORI DOPO IL JOBS ACT: LA REVISIONE DELL’ART. 4 L. N. 300/1970

Il D. Lgs. n. 151/2015, noto come “jobs act”, ha operato una revisione profonda nel comparto del lavoro, soprattutto, per quello che concerne il rapporto di lavoro subordinato. Infatti, il provvedimento in esame è intervenuto, in modo penetrante, sul testo della L. n. 300/1970, il c.d. “Statuto dei lavoratori”, creando, a parere dello scrivente, uno squilibrio tra le parti contrattuali, datore e lavoratore, nel senso di una contrazione del profilo sanzionatorio nel caso di licenziamento illegittimo (l’abrogazione della tutela reale prevista dall’ormai superato art. 18) e di un ampliamento del perimetro dell’attività di controllo sulla prestazione lavorativa (art 4 della legge in commento).

La cornice normativa dettata dallo statuto è imperniata sulla tutela dei lavoratori rispetto all’esercizio improprio delle prerogative del datore quali, a titolo d’esempio:

  • il potere di controllo;
  • il potere direttivo;
  • il potere disciplinare.

In via preliminare, appare utile ricordare gli obblighi a carico del lavoratore i quali scaturiscono sia dalle norme di legge che dalle prescrizioni contenute nel contratto di lavoro (incluso il c.d. “codice etico” o di condotta). Per quello che concerne le disposizioni di legge, il codice civile esplicita un obbligo generalizzato di:

  • diligenza, ossia espletamento corretto dell’attività affidata (art 2104 cc);
  • osservanza delle direttive impartite dal datore nonché dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende il lavoratore;
  • fedeltà, soprattutto, nella declinazione di divieto di porre in essere condotte lesive della competitività dell’impresa (es. la divulgazione di segreti industriali ovvero effettuazione di prestazioni nei confronti di imprese concorrenti).

L’inadempimento di questi precetti può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, graduate sulla scorta della gravità dell’illecito (c.d. principio di proporzionalità della sanzione), come previsto dall’art. 2106 cc.

L’accertamento da parte del datore di una condotta inadempiente del lavoratore avviene (essenzialmente) attraverso l’esercizio del potere di controllo il quale si esplica nell’utilizzo di strumenti a tale funzione dedicati; in ordine a ciò, appare doveroso ricordare che l’evoluzione tecnologica degli strumenti di controllo ha ridefinito l’attività di monitoraggio della prestazione lavorativa sollevando il problema di una corretta identificazione dei limiti ad essa riferiti. Inoltre, è possibile riscontrare una tendenza normativa verso la c.d. liberalizzazione dell’attività in esame la quale ha favorito il proliferare di strumenti offerti dal mercato molto invasivi (collocati nella zona di confine della legalità).

A titolo esemplificativo, si ricordano:

  • la videosorveglianza (es. gli impianti audiovisivi);
  • il c.d. “black box” nonché i sistemi gps (global positioning system) installati sui veicoli aziendali;
  • il controllo a mezzo di agenzie investigative.

A controbilanciare questa tendenza è intervenuta la giurisprudenza di legittimità la quale, consapevole dello sviluppo in ambito tecnico-scientifico degli strumenti in commento e della potenziale deriva in termini di lesione di diritti che ne poteva conseguire, si è dimostrata molto sensibile alla tutela di precetti costituzionali quali la riservatezza e la dignità del lavoratore. A tal proposito, si ricorda la sentenza della Cassazione n. 4375/2010 la quale ha sancito che “…la vigilanza sul lavoro, anche se necessaria nell’organizzazione produttiva, va mantenuta in una dimensione umana e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua ed anelastica…”.

Per quello che concerne l’articolo 4 della Legge n. 300/1970 lo stesso è stato investito dalle seguenti modifiche:

  1. l’eliminazione del divieto assoluto (comma 1) di installare impianti audiovisivi e altre apparecchiature per finalità di mero controllo a distanza sull’attività lavorativa;
  2. l’introduzione di un ulteriore fattispecie esonerativa (la tutela del patrimonio aziendale) per l’installazione degli strumenti da cui derivi anche la possibilità (quindi, in via del tutto incidentale) di controlli a distanza nei confronti dei lavoratori;
  3. la possibilità di stipulare accordi (preventivi) con le rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative sul territorio nazionale in alternativa alle RSU e RSA nell’ipotesi in cui l’impresa si articolasse in più sedi ubicate su diversi territori provinciali ovvero regionali;
  4. il fatto che in mancanza di accordo con le associazioni sindacali (locali ovvero nazionali) e qualora l’impresa si articolasse su più sedi di competenza di più DTL, l’installazione degli strumenti possa avvenire attraverso l’autorizzazione del Ministero del Lavoro;
  5. la possibilità per il datore di non assoggettare all’autorizzazione amministrativa ovvero all’intesa con le associazioni sindacali i dispositivi strumentali all’erogazione della prestazione e alla registrazione degli accessi e delle presenze;
  6. l’eliminazione della possibilità di impugnare i provvedimenti del DTL dinanzi al Ministero del lavoro;
  7. la libertà del datore di utilizzare le informazioni prodotte dagli strumenti di controllo per qualsiasi fine (ivi compresso quello disciplinare), previa la somministrazione al lavoratore di un compendio informativo concernente le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli stessi.

In buona sostanza, la precedente normativa si articolava nel modo seguente:

  • principio generale: divieto assoluto all’utilizzo di strumenti audiovisivi e altre apparecchiature per meri scopi di controllo a distanza dell’attività del lavoratore (c.d. “controllo intenzionale”);
  • deroghe al principio generale: la possibilità di utilizzo di tali strumenti (potenzialmente idonei al controllo a distanza in via incidentale, ossia il c.d. “controllo preterintenzionale”) nei casi in cui fossero intervenute:
  1. esigenze organizzative ovvero produttive
  2. motivazioni sottostanti la sicurezza sul lavoro

previo accordo con le associazioni sindacali ovvero autorizzazione da parte dell’ispettorato del lavoro (in tal senso la giurisprudenza ha, in modo inequivocabile, sanzionato l’omissione di tale fase autorizzatoria con l’irrilevanza, ai fini processuali, dei dati raccolti dagli strumenti di controllo “abusivi”).

La normativa riformatrice, invece, prevede:

  • principio generale: divieto, solo implicito, del c.d. controllo intenzionale;
  • deroghe al principio generale: possibilità di utilizzo di strumenti audiovisivi nei casi di:
  1. esigenze produttive e organizzative;
  2. sicurezza sul lavoro;
  3. tutela del patrimonio aziendale

previo accordo con le associazioni sindacali, nazionali o territoriali, ovvero autorizzazione del DTL competente o Ministero del lavoro. Su questo punto appare necessario operare una riflessione: la portata del divieto (implicito) all’utilizzo di strumenti per finalità di mero controllo a distanza è stata fortemente compressa dall’introduzione di una nuova esimente a “maglia larga” (di cui al punto 3);

  • ambito di esclusione dalla preventiva intesa/autorizzazione con riguardo ai dispositivi
  • legarti da un rapporto di strumentalità rispetto all’attività svolta dal lavoratore (a patto che non permettano nemmeno il controllo preterintenzionale)
  • necessari alla registrazione degli accessi e delle presenze dei lavoratori (che non permettano alcun controllo);
  • utilizzo delle informazioni raccolte con gli strumenti leciti (di controllo a distanza rientranti nelle fattispecie legali, strumentali all’attività lavorativa nonchè necessari alla registrazione degli accessi e delle presenze) per qualsivoglia fine legato al rapporto di lavoro (incluso il profilo disciplinare) a certe condizioni (specifico compendio informativo a disposizione del lavoratore e conformità al codice della privacy); questo punto è in piena discontinuità con la disciplina previgente la quale, soprattutto con l’attività giurisprudenziale, prevedeva un generalizzato divieto di utilizzo delle immagini per la contestazione di sanzioni disciplinari al lavoratore.

Categoria: Analisi & Studi

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Article by: Quintilio Savina