L’iniziativa di Serbassi ha destato probabilmente l’attenzione anche dei sindacati confederali, che il 20 aprile, in una nota congiunta Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti, hanno lanciato l’allarme sui rischi certi e notevoli “per le stesse aziende (Rfi e Ferrovie Nord, ndr), i gruppi a cui appartengono e l’occupazione”. Il governo, travolto dalle polemiche interne alla maggioranza e impegnato in una rissosa campagna elettorale, ha già molto di cui occuparsi. Ma forse dovrebbe trovare un ritaglio di tempo per gettare un occhio sulla questione. Comunque finisca il duello tra Lega e M5S, è evidente che mandare a gambe all’aria un gruppo strategico come Fsi non gioverà a nessuno. Non gioverà al Paese e neanche ai due contendenti. Compreso chi avrà la meglio.
ALTRA GRANA PER LE FS, RFI FINISCE NEL PERIMETRO DELLA PA, FAST-CONFSAL SCRIVE A CONTE: INTERVENIRE SUBITO
Non bastavano i problemi creati dall’ingarbugliatissimo salvataggio di Alitalia e dall’improvviso, seppur prevedibile, taglio di 300 milioni al trasporto pubblico locale provocato dall’attivazione della clausola di salvaguardia sui conti pubblici concordata con la Ue. A turbare i sonni dell’ad della Fs, Gianfranco Battisti, è arrivata pure la ridefinizione del perimetro della pubblica amministrazione da parte dell’Eurostat, che insieme ad altre 10 società (tra cui Ferrovie Nord Milano) ha tirato dentro retroattivamente, dal 2017, anche Rete ferroviaria italiana.
Non si tratta, evidentemente, di una formalità. L’inserimento di Rfi nell’elenco delle aziende che vengono inserite nel conto consolidato dello Stato comporterà il rispetto di vincoli e regole che potrebbero mettere a rischio non solo l’attività del gestore dell’infrastruttura ferroviaria italiana, ma quella dell’intero gruppo Fsi. Per avere un’idea, basta guardare la recente sentenza della Cassazione sull’area di applicazione del blocco salariale disposto per il pubblico impiego dal 2011 al 2013. Secondo i supremi giudici anche l’Anas era soggetta a tale obbligo. Problema ben noto all’ex ad Gianni Vittorio Armani, che auspicava la fusione con le Ferrovie proprio per liberare una società in grado di stare sul mercato con i propri piedi dai mille impedimenti presenti nella Pa. Le nozze tra Anas ed Fs sono state celebrate.
Ma la musica non è cambiata. Il gestore delle strade è tutt’ora nel perimetro della Pa. Ora la stessa sorte tocca ad Rfi, che secondo gli esperti dell’Istat europeo, malgrado i ricavi e gli utili macinati dal gruppo di cui è parte integrante, non avrebbe i numeri per operare in un regime di libera concorrenza. Di qui la decisione che, portando la Rete nel grande calderone degli enti legati a doppio filo all’andamento della finanza pubblica, quei numeri rischia di farglieli perdere davvero. La notizia, annunciata dalla Banca d’Italia il 9 dicembre scorso, è stata sostanzialmente snobbata dai media, ma non è sfuggita al sindacato autonomo dei trasporti Fast-Confsal. In una lettera inviata il 18 aprile al premier Giuseppe Conte e ai ministri competenti il segretario generale Pietro Serbassi ha chiesto immediati chiarimenti sul futuro di Rfi, spiegando che “la trasformazione della Rete ferroviaria italiana in un ente della pubblica amministrazione mette a rischio non solo l’autonomia gestionale e gli investimenti pubblici destinati allo sviluppo infrastrutturale, ma la sua stessa permanenza nel gruppo Fsi”. Secondo il numero uno della Fast-Confsal, infatti, non è escluso che la mossa sia “il preludio di una operazione più ampia sostenuta dal governo europeo o da quello italiano per arrivare allo scorporo dell’infrastruttura dai servizi di trasporto passeggeri e merci di cui più volte in passato si è parlato, anche in occasione dei progetti poi accantonati di quotazione”.