RIDERS: LE PRIME PRONUNCE DEL TRIBUNALE

Le due sentenze “Foodora” (Trib. Torino, n. 778/2018) e “Foodinho” (Trib. Milano, n. 1853/2018) hanno riguardato la qualificazione del rapporto di lavoro dei c.d. riders (i fattorini della gig economy) 

Le due sentenze hanno avuto un iter logico-giuridico molto interessante nel momento in cui i giudici hanno affrontato le varie problematiche e ricercato una soluzione, che appare solo parzialmente condivisibile. Nel caso di specie, alcuni lavoratori avevano convenuto in giudizio le citate società chiedendo che ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, inizialmente sottoscritti, venisse riconosciuta la natura subordinata a tempo indeterminato.

Nei contratti di collaborazione si era dato infatti atto che “il collaboratore agirà in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”, con chiara volontà delle parti di dar vita a un rapporto di lavoro autonomo in forma coordinata e continuativa.

I giudici di prime cure hanno ritenuto di considerare in primis le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, allineandosi ad un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “… ai fini della determinazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero avere simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia …” (Cass. 19.8.2013 n. 19199; Cass. 8.4.2015 n.7024; Cass. 1.3.2018 n. 4884).

Formalmente il contratto prevedeva che il collaboratore: a) sarebbe stato libero di candidarsi o meno per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita; b) avrebbe eseguito le consegne avvalendosi di una propria bicicletta “idonea e dotata di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la circolazione”; c) avrebbe agito in piena autonomia, senza alcun vincolo di subordinazione. Il tutto “fatto salvo il necessario coordinamento generale con l’attività della stessa committente”.

La gestione del rapporto avveniva mediante piattaforma multimediale ed applicativo per smartphone, di cui le società committenti fornivano le apposite istruzioni insieme alla pubblicazione settimanale, su specifico portale, degli slots che indicavano il numero di riders necessari a coprire ciascun turno.

Ogni rider poteva rendersi disponibile per i vari slots in base alle proprie esigenze personali, senza però esserne immediatamente obbligato ma, ricevuta la conferma del turno, il lavoratore doveva recarsi all’orario di inizio del turno stesso in una zona di partenza predefinita, attivare l’applicativo inserendo le credenziali (user name e password) per effettuare l’accesso (login) e avviare la geolocalizzazione (GPS). Il rider riceveva, quindi, sulla propria “app” la notifica dell’ordine con l’indicazione dell’indirizzo del ristorante.

Una volta accettato l’ordine, il rider raggiungeva in bici il ristorante e prendeva in consegna i prodotti, controllandone la corrispondenza con l’ordine e comunicava, tramite l’apposito comando della app, il buon esito della verifica. A questo punto, posizionato il cibo nel box, il rider doveva provvedere a consegnarlo al cliente, il cui indirizzo gli era stato nel frattempo comunicato dalla app stessa, tramite la quale confermava l’avvenuta consegna.

Ricostruito l’iter tecnico-logistico del servizio, i giudici hanno dovuto stabilire se i ricorrenti fossero o meno sottoposti al potere direttivo, organizzativo e disciplinare delle società (c.d. “etero-direzione” della prestazione) ed hanno rilevato che, nel rapporto di lavoro intercorso, essi ricorrenti non erano obbligati a effettuare la prestazione. Era, infatti, pacifico che i lavoratori potevano dare la propria disponibilità per uno dei turni indicati dalle società, ma non erano obbligati ad effettuarlo e, dal canto loro, le società potevano accettare o meno la disponibilità dei riders.

Quest’ultima caratteristica del rapporto di lavoro, di per sé determinante per escludere la sottoposizione dei ricorrenti al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, ha reso evidente il fatto che, se il datore di lavoro non poteva pretendere dal lavoratore la prestazione, neanche poteva esercitare il proprio potere, in quanto il vincolo di soggezione del lavoratore a detto potere “discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative”, soprattutto con le tecnologie informatiche utilizzate dalle società.

I ricorrenti avevano sostenuto che la società impartivano direttive tecniche dettagliate in ordine all’intero iter relativo alla consegna attraverso, ad esempio, la determinazione del luogo e dell’orario di lavoro (punti di partenza e fasce orarie), ma per i giudici le risultanze processuali in tema non sono risultate rilevanti ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato. La determinazione del luogo e dell’orario di lavoro non veniva, infatti, imposta unilateralmente dall’azienda che, invece, si limitava a pubblicare su una app gli slots con i turni di lavoro, cui i collaboratori erano liberi di aderire o meno.

La verifica della presenza dei riders nei punti di partenza e dell’attivazione del loro profilo sull’applicazione rientra, a pieno titolo, nell’ambito del “coordinamento” perché è risultato evidente che le società necessitassero di sapere su quanti persone contare per le consegne, anche in considerazione del fatto che un non trascurabile numero di lavoratori, dopo l’inserimento nel turno, non si presentava a rendere la prestazione senza alcuna comunicazione preventiva (c.d. “no show”).

I testi escussi hanno poi confermato che i lavoratori erano sempre liberi di scegliersi il percorso per loro più idoneo alla consegna.

I ricorrenti avevano, infine, sostenuto di essere stati sottoposti al potere disciplinare delle società che si sarebbe concretizzato attraverso i richiami verbali e l’esclusione -temporanea o definitiva- dalla chat aziendale o dai turni di lavoro, ma le prove testimoniali non hanno evidenziato l’esistenza di questo tipo di provvedimenti, ma soltanto la predisposizione -per un limitato periodo di tempo- di una “classifica” per premiare i più meritevoli, fatto questo del tutto estraneo al potere disciplinare.

Come extrema ratio, i lavoratori hanno richiesto, in via subordinata, che al loro caso venisse applicato l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, ma i giudici -con interpretazione restrittiva- hanno statuito che detta disposizione non possiede un contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro. La norma, che nella sua formulazione ha addirittura un ambito di applicazione più ristretto dell’art. 2094 c.c., dispone infatti che, alle collaborazioni coordinate e continuative, sia applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente “anche” con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro e, quindi, non è sufficiente che il potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro si estrinsechi “soltanto” con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro medesimi.

Per quanto non sia stata oggetto di specifica domanda nel ricorso, la possibilità o meno di applicare la disciplina del lavoro subordinato, ai sensi del citato art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, può far ipotizzare una sostanziale differenza tra la sentenza di Torino e quella di Milano. Differentemente dal collega di Torino, il giudice di Milano infatti prevede che le modalità di esecuzione della prestazione non possono ritenersi “organizzate dal committente con riferimento ai tempi (…) di lavoro”, poiché la scelta fondamentale in ordine ai tempi di lavoro e di riposo era rimessa all’autonomia del ricorrente, che la esercitava nel momento in cui manifestava la propria disponibilità a lavorare in determinati giorni e orari e non in altri.

La decisione del tribunale di Torino, quindi, si fonda principalmente su tre argomentazioni:

  • che sui fattorini non ricadesse alcun obbligo di disponibilità, avendo la possibilità di aderire o meno agli slots e, comunque, di rinunciarvi in ogni momento;
  • che le modalità, l’orario e il luogo di lavoro non erano predeterminati dalla società, ma decisi da ogni singolo fattorino in base alle proprie disponibilità;
  • che, oltre a non essere sottoposti ai poteri direttivo e di controllo, non subivano alcun rilievo disciplinare.

Recentemente, infine, i Giudici di seconde cure (Corte Appello Torino, n. 26/2019) ha accolto in parte le richieste dei riders, riformando parzialmente la pronuncia di primo grado e riconoscendo il diritto alla parità economica rispetto ai lavoratori subordinati della logistica.

I giudici torinesi, discostandosi dalla dottrina maggioritaria, hanno riconosciuto infatti ai riders il diritto ad ottenere un trattamento economico (retribuzione diretta, indiretta e differita) pari a quello stabilito dal CCNL della logistica per i dipendenti di V livello, pur rimanendo il loro rapporto totalmente avulso da quello subordinato. Pur non essendo i fattorini lavoratori subordinati, almeno dal punto di vista formale, sembrano meritare il trattamento economico previsto per i lavoratori subordinati ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, ma non tutte le tutele previste dal lavoro subordinato soprattutto quelle in materia di licenziamento illegittimo.

Secondo la Corte d’Appello, infatti, Foodora non solo coordinava l’attività dei lavoratori, ma ne organizzava le modalità con cui la prestazione si attuava con particolare riferimento a tempi e luoghi di lavoro avendo i riders turni precisi, punti di partenza concordati, indirizzi a cui consegnare i prodotti.

La sentenza nel merito, riassumendo il ragionamento di fondo sotteso dai giudicanti, afferma che il “compito del Giudice è quindi quello di interpretare la norma, delinearne l’ambito di applicazione (il perimetro) e verificare se la fattispecie concreta (oggetto di causa) rientri nella previsione della stessa. Secondo il Collegio la norma in questione individua un terzo genere, che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 cc e la collaborazione come prevista dall’articolo 409 n.3 c.p.c., evidentemente per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito della evoluzione e della relativa introduzione sempre più accelerata delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando”. La Corte d’Appello ritiene, quindi, che detta disposizione individui un tertium genus e definisce, sbilanciandosi, la collaborazione come etero-organizzata “quando è ravvisabile un’effettiva integrazione funzionale del lavoratore nell’organizzazione produttiva del committente”, il quale ha il potere “di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro”.

L’etero-organizzazione, dunque, sarebbe cosa diversa, ed andrebbe perciò distinta sia dal potere direttivo sia dal coordinamento.

Dr. Dario Calderara
Dottorando in Diritto del Lavoro “La Sapienza”

Categoria: Lavoro & Diritto

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