“Andrà tutto bene”, “ne usciremo tutti insieme, più uniti di prima!”. Sono solo alcuni dei tormentoni che girano da più di un mese per convincerci che bisogna stare buoni, dare retta e obbedire. Lo abbiamo detto più volte, la crisi è paragonabile a una guerra, quindi è giusto che chi ha l’onore e l’onere di combatterla prenda decisioni nei modi e nelle forme che più ritiene opportuni, senza curarsi troppo dei giudizi altrui. Dando per scontato questo assunto, però, non si può pretendere che in uno Stato democratico non si possa esercitare il diritto di critica. Non è accettabile che ogni voce dissonante da quella che viene dall’autorità costituita sia stigmatizzabile come sterile polemica. Così come non può esserlo l’idea che se condivido sono pro governativo e se critico sono pro opposizione, perché la critica costruttiva è l’essenza stessa dello spirito del sindacalismo autonomo, ne rappresenta la motivazione originaria e la sua ragion d’essere.
Fin da subito abbiamo cercato di evidenziare il rischio che qualcuno potesse speculare sulla crisi, facendo pagare il conto solo o in gran parte ai lavoratori, e abbiamo dichiarato la nostra immediata disponibilità al confronto. Ad oggi possiamo constatare che l’offerta è stata poco apprezzata: il nostro appello è caduto nel vuoto, il nostro contributo è rimasto inascoltato. Il ministro dei Trasporti, on. Paola De Micheli, a quanto pare, continua a ricordarsi del sindacato autonomo solo quando c’è in ballo uno sciopero, per invocare la nostra responsabilità. Poi finisce sempre allo stesso modo. A differenza dell’ex ministro Delrio, per cui ogni scusa era buona per utilizzare lo strumento del precetto (peraltro più volte annullato dopo il nostro ricorso al Tar), lei si limita, più subdolamente, ad imporre la coatta riduzione delle ore.
Quanto alle aziende, alcune, un esempio per tutte Cotral S.p.A. (azienda del Trasporto Pubblico Locale Regionale del Lazio) aderente all’associazione datoriale di settore di Confindustria, AGENS, in cui FAST-Confsal è uno dei sindacati più rappresentativi, si ostinano ad escluderci dal confronto sindacale. Quel confronto che i partiti di governo dicono ininfluente e non necessario in questa fase e che i partiti di opposizione definiscono un vincolo per le imprese introdotto da un esecutivo sotto ricatto del sindacato. Mah! Normalmente, di fronte a tesi contrapposte uno ha ragione e l’altro torto. Ma non è questo il caso. Per quanto riguarda Cotral posso solo dire che, a fronte del fatto che abbiamo una riconosciuta rappresentanza e regolari relazioni industriali, nella nostra scientifica esclusione si ravvisano tutti gli elementi per una denuncia di attività antisindacale, poiché è lapalissiana la violazione dell’art. 28 della legge 300/70 nota come “Statuto dei Lavoratori”. Sarebbe stato legittimo e doveroso farla. Visto il momento, la crisi e la volontà di evitare polemiche incomprensibili ai più, abbiamo però deciso, e me ne assumo personalmente la responsabilità, di non procedere per le vie legali. Ma non vorrei che questo fosse interpretato dalla presidente, dott.ssa Amalia Colaceci, un segnale di debolezza e non di quel senso di responsabilità al quale il ministro dei Trasporti richiama spesso il sindacato autonomo. È evidente che comprendiamo ma non ci scordiamo!
Non più encomiabili sono quelle aziende che, a fronte di bilanci positivi negli ultimi anni, non hanno probabilmente neanche preso in esame la possibilità di affrontare la crisi, le famose 9 settimane iniziali previste nel primo decreto, salvaguardando le retribuzioni, come ad esempio hanno fatto Giovanni Rana o la Ferrero. Senza usare inutili giri di parole, il nostro pensiero va alle aziende del TPL che potevano e possono evitare una riduzione della retribuzione, come poteva e può affrontare diversamente il problema Italo-NVT. Visti i risultati vantati negli ultimi anni, la società di trasporto ad alta velocità avrebbe dovuto fare lo sforzo necessario per limitare i disagi economici ai propri dipendenti. Tema che non perderemo di vista e segnaleremo alle autorità competenti, perché a nostro avviso ricavare profitto a spese degli ammortizzatori sociali, per giunta in deroga, se accertato, potrebbe cadere in reati penalmente perseguibili.
Potrei continuare con molti altri esempi concreti, ma non è qui il caso di dilungarci troppo. Il tema centrale resta quello del confronto con le parti sociali. Sulla sicurezza, questione nevralgica durante la pandemia, il governo ha deciso di procedere al dialogo solo con alcune di esse, certamente ben rappresentative ma non al punto di coprire l’intero mondo del lavoro, sia imprenditoriale sia dei lavoratori dipendenti. Già immagino l’obiezione: se ci avessero chiamati non saremmo qui a protestare. Non è così. Siamo i primi a sostenere che ognuno deve fare il suo ruolo. E a questo proposito vedere le prefetture che convocano alcune parti sociali, le solite, per una “analisi di possibili scenari operativi in prospettiva di un progressivo allentamento del lockdown” mi sembra assai bizzarro. Vista la montagna di esperti, tecnici, amministratori e funzionari dello Stato che hanno il dovere di rispondere a certe esigenze e, conseguentemente, di assumersi le responsabilità, le parti sociali dovrebbero al massimo essere informate su quanto deciso. Perché se nella fase di “allentamento” qualcosa va storto, come nel caso delle Rsa, oggi sotto inchiesta della magistratura, chi risponderà, ad esempio, dell’operato delle prefetture?
Ho già avuto modo di dirlo, ma ho il sospetto che sulle deroghe dovute all’emergenza qualcuno si sia lasciato prendere un po’ la mano. Sono troppo ottimista se auspico che si cerchi – e si trovi – un nuovo equilibrio dopo la riapertura delle attività? Penso che mai come in questo momento sia attuale la frase attribuita al Mahatma Gandhi:
“L’uomo si distrugge con la politica senza principi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici”.