LO STATO DI EMERGENZA GIUSTIFICA LA RINUNCIA AL PLURALISMO?

Sin dal primo periodo di diffusione dell’epidemia, l’emergenza economico-sanitaria connessa al Covid-19 ha reso necessari interventi legislativi di varia natura, accomunati dal carattere di urgenza.

Questa legiferazione, di natura emergenziale, ha avuto luogo sotto diverse forme, ponendo importanti dubbi in ordine al sistema delle fonti del diritto e alla gerarchia delle stesse.

Più in generale, l’approccio del Governo all’emergenza ha creato dibattito allorché si è più volte proceduto all’emanazione dei decreti senza attuare precedentemente un confronto e un vero e proprio coinvolgimento delle Camere, le quali durante questi mesi non sono state efficacemente consultate. In sostanza, per effetto del modus operandi adottato dal Governo, il Parlamento è rimasto marginale in una fase estremamente delicata, perdendo di fatto la propria funzione di presidio dei principi democratici.

Il quadro descritto è stato oggetto di un dibattito che si è sviluppato sotto il profilo politico, giuridico, sociale e in un’ultima istanza anche sindacale, specie allorché – come vedremo – il Governo ha ritenuto di impostare un certo tipo di interlocuzione con le parti sociali.

Partendo dal principio, in data 31 gennaio 2020 (quindi ben prima che il contagio esplodesse nelle cosiddette “zone rosse”), il Governo dichiarava – per un periodo di sei mesi – lo stato di emergenza “in   conseguenza   del   rischio    sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. A tale atto, sono seguiti – durante il mese di marzo – una serie di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (anche detti DPCM), con i quali il Governo ha progressivamente disposto il lockdown su tutto il territorio. Inoltre, a marzo e ad aprile, sono stati emanati due rilevanti decreti legge, rispettivamente il decreto “Cura Italia”, intervenuto su numerose materie tra cui gli ammortizzatori sociali, e il decreto “Liquidità”, contenente misure a sostegno delle imprese. Come già esposto, il ruolo delle Camere nell’impalcatura di tali provvedimenti è stato pressappoco nullo e ciò deve dare luogo ad una serie di domande.

La prima: può lo stato emergenziale giustificare il progressivo svuotamento di poteri del Parlamento?

La seconda: per quanto tempo può avere luogo questa “sospensione” del regolare dialogo tra i poteri dello Stato?

Tali interrogativi lasciano sullo sfondo questioni di importanza centrale, relative alla salvaguardia della democrazia, in un momento nel quale – per le già accennate esigenze di urgenza e tempestività – rischiano di venire compromessi due dei perni su cui si innesta lo stato democratico ossia la suddivisione dei poteri e la rappresentanza parlamentare.

Spostando la visuale, l’accentramento totale di ogni prerogativa sul Governo e il ruolo minore assunto dal Parlamento, hanno avuto ripercussioni anche dalla prospettiva sindacale.

Nelle scorse settimane, precisamente a partire da metà marzo, il Governo ha dichiarato a più riprese di avere avuto interlocuzioni e scambi con le parti sociali. Tale narrazione, tuttavia, non corrisponde al reale andamento dei fatti: le parti sociali, nel loro complesso e in tutte le loro componenti, non sono mai state interpellate. Al massimo, ciò che il Governo ha ritenuto di fare è stato aprire un confronto solo con alcune delle parti sociali, tagliando fuori realtà che per la consistenza numerica e il peso all’interno di determinati settori produttivi avrebbero potuto svolgere un ruolo importante per rendere più proficua l’interlocuzione. Un’apertura in questo senso, non solo sarebbe stata doverosa, ma sicuramente utile a sviluppare un dialogo equilibrato.

Quindi, in primo luogo si pone un problema di comunicazione istituzionale, poiché il Governo ha costantemente veicolato un messaggio sbagliato e fuorviante, ossia quello di avere coinvolto le parti sociali, quando invece – come esposto – ciò non è avvenuto.

In secondo luogo, tale operato non ha garantito adeguatamente il pluralismo sindacale e, soprattutto, ha precluso al Governo la possibilità di avviare un confronto più ampio.

In quest’ottica, la già accennata marginalizzazione delle Camere è stata un fattore rilevante, in quanto anche per tale ragione non si è potuto realizzare un dialogo aperto tra le forze politiche in relazione al ruolo e – soprattutto – all’identificazione delle parti sociali che sarebbero state chiamate a intervenire. Anche questo è sintomatico della facilità con cui il Governo – sotto lo scudo dello stato di emergenza – stia rinunciando a muoversi secondo logiche democratiche e in base a dinamiche pluralistiche.

Categoria: Punti di vista

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Article by: Aniello Carpenito