“Il nostro sforzo nella prima fase di impatto del lockdown è stato di cercare di non lasciare indietro nessuno”, ha detto recentemente il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, aggiungendo che “gli errori sono sempre possibili” e riconoscendo che probabilmente si dovevano cambiare da subito “le procedure per la Cassa integrazione in deroga, che si sono rivelate purtroppo lente, questa è sicuramente la cosa che ha funzionato meno bene, peggio”. Pur dando la colpa alle procedure, che è la linea scelta dal governo per giustificare i pasticci sulla CIG, il titolare di Via XX Settembre ha recentemente ammesso che l’erogazione dei sussidi ha lasciato molto a desiderare. Stessa cosa, qualche tempo fa ha fatto Pasquale Tridico che, pur dando la colpa agli hacker, che è la linea scelta dall’INPS per giustificare il sito andato in tilt ad aprile, ha ammesso che sull’indennizzo agli autonomi si è scatenato il caos. Non ci volevano certo manager e leader politici per raccontarci quello che è successo negli ultimi mesi.
Ritardi mostruosi, centralini fantasma, domande perse. Dovendo occuparsi, praticamente da un giorno all’altro, di un carico di lavoro extra relativo a decine di milioni di italiani beneficiari, in un modo o nell’altro, di qualche prestazione Covid, l’istituto nazionale di previdenza è andato in affanno. E’ sotto gli occhi di tutti. E le scuse, per quanto doverose, non ci hanno detto nulla che già non sapessimo.
Ma chi deve ricorrere all’INPS per pratiche che nulla hanno a che fare con la pandemia, chi è titolare di un assegno previdenziale, chi deve chiedere un riconteggio o deve riscattare la laurea in questi mesi non ha avuto vita facile. Si parla tanto dell’emergenza, ma pochissimo dell’ordinario. Forse ci si è dimenticati che oltre a distribuire i bonus speciali previsti dal governo per fronteggiare la crisi provocata dal coronavirus, l’Inps ogni mese deve erogare servizi a 16 milioni di pensionati e ad altri milioni di cittadini che a vario titolo si rivolgono all’ente per le indennità, i bonus, e ogni trattamento previsto dal nostro sistema assistenziale e previdenziale. Per qualche ragione che nessuno ha mai spiegato fino in fondo, l’intero sistema di welfare italiano poggia sull’istituto oggi guidato da Pasquale Tridico. E per le stesse ragioni il governo ha deciso di caricare tutti gli aiuti sulle spalle del medesimo ente.
Il risultato era scontato: se le cose sono andate male per le misure anti-Covid, per il resto, complice anche il telelavoro di gran parte dei dipendenti, sono andate peggio. Operatori inesistenti, telefoni muti, mail senza risposta, tempi delle pratiche ordinarie dilatati fino all’inverosimile, servizi di assistenza impossibili da attivare.
Non è certo da oggi che l’INPS dà prova delle sue inefficienze e dei suoi limiti. Ma il Covid ha messo a nudo una struttura fragile e incapace di rispondere ai compiti sempre crescenti che la politica affida all’ente. Una volta è il reddito di cittadinanza, una volta è quota 100, ora il Coronavirus. L’istituto ha sempre una priorità su cui vengono dirottate le forze migliori, lasciando allo sbaraglio i cittadini che hanno necessità dei servizi ordinari.
Come non bastasse, il governo ha deciso, anche quest’anno di lasciare a secco CAF e Patronati. I centri di assistenza sociale, anche in questo difficile frangente, si sono fatti carico di supplire alle carenze della pubblica amministrazione, dando sostegno e supporto a centinaia di migliaia di persone. A luglio e agosto, anche a causa dei vari bonus legati alla situazione reddituale, c’è stato un incremento di oltre il 60% delle Dsu presentate rispetto al corrispondente periodo del 2019. A 4 mesi dalla fine dell’anno, però, le risorse stanziate dal governo per fare in modo che i servizi di CAF e Patronati vengano erogati gratuitamente sono praticamente finiti. E di tutto si discute tranne che di rifinanziare il fondo.
Nelle prossime settimane forniremo numeri ed evidenze concrete del declino dell’INPS, passando al setaccio i tempi e la qualità dei servizi, il livello del contenzioso, la gestione del personale. Un lavoro che, speriamo, possa essere utile ad aprire un dibattito sulla riforma dell’ente e sulla necessità di articolare in maniera più efficace il nostro welfare. Nel frattempo ci auguriamo che il governo non lasci davvero nessuno indietro. Neanche l’ultimo dei pensionati, che invece del reddito di emergenza si accontenta di sapere quando gli sarà accreditato il suo ordinario e banale assegno mensile.