Articolo a cura di Barbara Garbelli
Da ormai tre mesi si dibatte ampiamente sulla possibilità di introdurre l’obbligo di vaccinazione negli ambienti di lavoro; dalle prime posizioni, più o meno risolute, siamo passati ai primi casi concreti: il caso dell’Ospedale San Martino di Genova, la posizione dell’Inail in relazione all’infortunio per gli operatori sanitari non vaccinati, la posizione del Tribunale di Belluno.
Dopo diverse richieste di intervento da parte del Legislatore, arrivate da più voci (Inail, Conferenza delle Regioni, Ministero del Lavoro, Ministero della Salute), in questi giorni si è iniziato a parlare di due bozze tanto attese: quella relativa alla revisione del protocollo anti-contagio, nella sua versione del 26 marzo scorso e ora quella relativa al Decreto Legge che introdurrà l’obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori. Molto probabilmente questi due documenti faranno parte di un unico disposto normativo, che entrerà in vigore il prossimo 7 aprile.
Se da un lato la bozza del nuovo protocollo anti-contagio risulta carente in materia di gestione del vaccino in azienda (continuando a propendere per le già note misure anti-contagio), la bozza del nuovo Decreto Legge stabilisce in maniera molto chiara un concetto: gli operatori sanitari saranno obbligati a vaccinarsi, pena la sospensione dall’attività lavorativa.
All’interno di un documento più ampio, dove trovano spazio nuove misure di contenimento del virus all’interno delle ormai conosciute aree “colorate” e dove il Legislatore definisce le modalità di rientro a scuola per bambini e ragazzi, due articoli destano particolare attenzione:
– L’articolo 3, Responsabilità sanitaria da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2;
– L’articolo 4, Disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.
Il primo dei due articoli, dopo il noto caso “Astrazeneca”, specifica che nessuna responsabilità può essere imputata allo Stato, “la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni
contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle
competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative
alle attività di vaccinazione”.
Dopo questa premessa importante, che mette il punto sul caso già noto sopra menzionato e sulla polemica relativa ai possibili effetti collaterali del vaccino, l’articolo quattro fornisce vere e proprie istruzioni di comportamento per gli operatori socio sanitari.
“Gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi
professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da
SARS-CoV-2”, nel rispetto del piano vaccinale regionale.
Come recita il comma 2 la vaccinazione non è obbligatoria “solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestato dal medico di medicina generale”.
Pertanto, fuori da particolari contesti, ogni operatore sanitario sarà obbligato a sottoporsi a vaccinazione, sia che si tratti di libero professionista, sia che si tratti di lavoratore dipendente;
ce lo chiarisce il comma 3 del medesimo articolo che definisce che “entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmette l’elenco degli iscritti, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede. Entro il medesimo termine i datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie, socio-assistenziali, pubbliche o private, farmacie, parafarmacie e studi professionali trasmettono l’elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano”.
“Entro dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi di cui al comma 3, le regioni e le province
autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, verificano lo stato vaccinale di ciascuno dei
soggetti rientranti negli elenchi”; ove il lavoratore non sia stato vaccinato, lo stesso verrà chiamato per presentare il certificato vaccinale entro 5 giorni, o l’eventuale documentazione medica che ne attesti le condizioni di “esenzione”, oppure ancora la presentazione della richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale.
Nel caso in cui invece il lavoratore abbia volontariamente deciso di non vaccinarsi, “l’azienda sanitaria locale, successivamente alla scadenza del predetto termine di cinque giorni, senza ritardo, invita formalmente l’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalità e i termini entro i quali adempiere all’obbligo”.
A questo punto, se il lavoratore decide ancora una volta di non sottoporsi a vaccinazione, cosa succede?
L’azienda sanitaria locale invierà l’elenco dei lavoratori renitenti ai rispettivi Ordini Professionali e, nel caso di lavoratori dipendenti, ai datori di lavoro. Pertanto in questo contesto (fatta salvo il corretto trattamento del dato particolare ai fini privacy) viene meno la riservatezza del dato, che nella generalità dei casi deve essere trattato esclusivamente dal medico competente e mai dal datore di lavoro (ndr Faq del Garante del 17 febbraio 2021 e del 1 marzo 2021).
Tuttavia, anche in questo contesto, il lavoratore renitente non potrà essere sottoposto a sanzione disciplinare o addirittura a licenziamento; il comma 8 dell’articolo quattro infatti specifica che “il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6 “(ovvero le mansioni abituali), “con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a diverse mansioni non è possibile, per il periodo di sospensione non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato”.
Il comma successivo specifica inoltre che “La sospensione mantiene efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021”.
Con una sorta di equilibrismo e seguendo le prime dicazioni del Tribunale di Belluno il Legislatore definisce un comportamento ben chiaro da tenere, ma con un limite temporale.
Pertanto: cosa succederà dopo il 31 dicembre 2021? To be continued…