Nel nostro ordinamento giuridico il contratto collettivo è un contratto di diritto comune vincolante solo per le parti aderenti alle organizzazioni di categoria stipulanti, ovvero per quelle che abbiano successivamente aderito (anche solo implicitamente) al contratto stesso. Ne consegue che nell’attuale sistema di diritto comune non può ulteriormente trovare applicazione la norma di cui all’art. 2070 cod. civ., secondo la quale l’applicazione del contratto collettivo si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore, in quanto tale norma è stata dettata per l’applicazione dei contratti corporativi quali fonti di diritto oggettivo e non può ritenersi operante nel nostro attuale sistema nel quale il contratto collettivo di lavoro, come detto, va ricondotto unicamente nell’ambito della libertà e della autonomia negoziale delle parti.
Nel caso in cui, dunque, si assuma che le mansioni svolte siano proprie di un contratto collettivo di diritto comune diverso da quello applicato in concreto, il lavoratore non può aspirare all’applicazione del diverso contratto collettivo se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale. In mancanza il lavoratore può richiamare la disciplina posta dal contratto del settore rivendicato quale parametro per la determinazione della retribuzione conforme all’art. 36 Costituzione (retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del suo lavoro, idonea a consentire un’esistenza libera e dignitosa) purché deduca e dimostri l’insufficienza del trattamento economico in concreto percepito, cioè la non conformità al precetto costituzionale del trattamento previsto dal contratto collettivo applicato. Il rapporto di lavoro sarà, quindi, disciplinato dal contratto rispetto al quale l’impresa si sia obbligata, implicitamente o esplicitamente, e al quale il lavoratore abbia aderito, questo anche se tale contratto non sia quello precisamente inerente alle oggettive caratteristiche dell’impresa e della sua attività.
In mancanza di qualsiasi contratto, invece, si dovrà ricorrere alla previsione dell’art. 36 Cost. (norma immediatamente precettiva) e al criterio della equità, applicando eventualmente la contrattazione collettiva di settore come parametro di riferimento per la individuazione della misura minima della retribuzione ai sensi della Costituzione, ma con esclusione, ovviamente, di tutti gli istituti a carattere strettamente contrattuale.
I princìpi appena esposti sono stati di recente affermati da una interessante sentenza del Tribunale di Cosenza, Sezione Lavoro (pubblicata il 14 settembre 2022), con la quale il giudice di merito ha conosciuto il caso di una lavoratrice di un’azienda operante nel settore delle pulizie, la quale aveva invocato l’applicazione al suo rapporto di lavoro del CCNL Terziario e Servizi della Nettezza urbana in luogo del CCNL Multiservizi, applicato effettivamente dal datore a tutti i dipendenti in servizio. In particolare, la ricorrente ha affermato che la tipologia di attività da lei concretamente svolta rispecchiava la declaratoria del diverso contratto collettivo invocato e non del diverso contratto effettivamente vigente in azienda, con la conseguenza che le erano dovute le differenze retributive connesse all’erroneo riconoscimento del trattamento retributivo di origine collettiva.
Il Tribunale, però, ha rigettato il ricorso, ricordando che, per ottenere l’applicazione di un diverso CCNL, non è sufficiente operare una astratta comparazione dei settori merceologici di riferimento, ma deve guardarsi al vincolo sindacale di appartenenza del datore di lavoro o, in subordine, al concreto trattamento economico riservato al lavoratore, che deve necessariamente risultare proporzionato alla qualità e quantità del lavoro e sufficiente a consentire una vita libera e dignitosa. Tutti requisiti, quest’ultimi, che la ricorrente non aveva dedotto o sufficientemente provato, con la conseguenza di non ottenere le tutele invocate in giudizio.
Prof. Avv. Paolo Pizzuti
Avv. Gennaro Ilias Vigliotti
Avv. Giuseppe Catanzaro