Con una “sorprendente” sentenza del Tribunale del Lavoro di Firenze, si è sancito che ai lavoratori della stessa impresa, che sono adibiti ad attività equivalenti, non possono essere applicati contratti collettivi diversi. Il datore di lavoro ha la facoltà di applicare contratti diversi ai suoi dipendenti solo nel caso in cui siano adibiti ad attività distinte che presentino carattere autonomo.
Questi principi sono stati stabiliti di recente dalla Corte d’appello di Firenze con la sentenza n. 728 del 22 dicembre 2023, in applicazione all’art. 2070 del codice civile, il quale ad avviso del collegio si applica nel senso che, al fine di evitare un’ingiustificata disparità di trattamento.
L’articolo 2070, comma 2, prevede che, se il datore esercita distinte attività imprenditoriali con carattere autonomo, diverse/ulteriori, ai rapporti di lavoro si applicano le norme dei contratti collettivi di riferimento che corrispondono effettivamente alle singole attività svolte. Sulla scorta di tale previsione, la Corte conclude che, nel caso opposto, in cui i dipendenti siano addetti alla stessa attività, al datore risulterebbe impedita l’applicazione di contratti collettivi differenti.
Inoltre, il ricorso a più contratti collettivi contrasterebbe con i doveri di correttezza e buona fede alla base del rapporto di lavoro, perché il trattamento differenziato non avrebbe ripercussioni solo a livello retributivo ma coinvolgerebbe tutti gli aspetti giuridici e normativi del rapporto.
L’importanza di questa sentenza, per alcuni versi “straordinaria”, sta nel fatto che viene sovvertito un indirizzo giuridico consolidato per cui il dipendente non potrebbe aspirare all’applicazione di un CCNL diverso se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, bensì può farvi riferimento eventualmente per la verifica sulla “giusta retribuzione costituzionale”.
In continuità con questo indirizzo, le sezioni unite hanno affermato che, in contesti aziendali dove sono esercitate più attività produttive diverse, la disciplina dell’art. 2070, comma 2, del codice civile costituisce mero criterio suppletivo, al quale si può far riferimento quando l’interpretazione della volontà delle parti non consente d’individuare il CCNL applicabile.
La pronuncia della Corte d’Appello fiorentina si pone dunque in discontinuità rispetto a questo principio e se ne desume che il CCNL coincidente con l’attività produttiva svolta dai lavoratori non costituisce un parametro vincolante per la determinazione della retribuzione conforme ai principi di proporzionalità e adeguatezza previsti dall’art. 36 della Costituzione, ma in realtà è il contratto collettivo stesso a cui devono rapportarsi i datori di lavoro per la disciplina unitaria del rapporto con tutti i dipendenti preposti alla medesima mansione.
Va sottolineato in tal senso che lo stesso Ispettorato Nazionale del Lavoro, ha fatto proprie le disposizioni del decreto-legge 2 marzo 2024 n. 19 recante “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano di ripresa e resilienza (PNRR), in tema di Appalto e distacco (art.29, comma 2); in particolare dove si stabilisce che al personale impiegato negli appalti o in subappalti deve essere garantito lo stesso trattamento economico previsto dal CCNL maggiormente applicato nel settore connesso con l’attività oggetto dell’appalto.
Un tale approccio si pone in linea di continuità con l’interpretazione dell’art. 2070 stabilito dalla Corte di appello di Firenze e potrebbe aprire un filone giurisprudenziale più ottimistico per quei lavoratori che negli anni sono stati penalizzati da contratti di lavoro peggiorativi rispetto ai propri colleghi che pur svolgendo la stessa mansione erano inquadrati con diversi e più vantaggiosi contratti collettivi.