Salve, cittadini del moderno Impero ferroviario. Ho letto con interesse e una punta di divertita ironia le osservazioni che il gruppo RLS ha voluto indirizzare al sottoscritto. “Petronius… Petronio… o Petrus,” scrivono. Forse mi conoscono, o forse no ma, di certo, mi attribuiscono il merito – o la colpa – di aver sollevato questioni scomode. E se c’è una cosa che questo Arbiter non può fare a meno di notare, è come le parole possano far tremare le fondamenta di ciò che è considerato saldo e immutabile.
Ma veniamo al punto. Nel mio articolo parlavo della ricerca di giustizia e non di un colpevole, oltre alla necessità della continua ricerca della sicurezza sul lavoro e non del “rischio ragionevolmente accettabileâ€, perché “ciò che è ragionevole per uno, è follia per un altroâ€. Si solleva la necessità di risposte sull’incidente di Faenza, su cui dopo otto mesi regna ancora un silenzio imbarazzante. Un silenzio che, come spesso accade in questo nostro teatro dell’assurdo, sembra voler coprire più che rivelare. Gli amici dell’RLS sanno bene che il macchinista non era sceso dalla porta di servizio del Pendolino ma allora perché, mi chiedo, si insiste su questa versione? È forse più comoda, più facile da digerire per un pubblico che cerca risposte semplici a questioni complesse?
La verità , cari amici, è un concetto difficile da maneggiare. Si insinua tra le pieghe delle versioni ufficiali, sfugge alle definizioni troppo nette, si nasconde dietro tecnicismi che solo i pochi eletti possono comprendere appieno. E così, mentre noi ci scervelliamo su porte di servizio, scale e massicciate, il vero nodo della questione rimane lì, in ombra, protetto da una rete di burocrazia e di procedimenti che, lungi dal chiarire, complicano.
Ma quale sarebbe, allora, la giustizia che cerchiamo? Non certo quella che si accontenta di un colpevole, di un capro espiatorio da offrire al popolo perché possa dormire sonni tranquilli. No, la giustizia che meritiamo è quella che non teme di affrontare la verità , anche quando è scomoda, anche quando richiede di guardare oltre le apparenze e di mettere in discussione ciò che è dato per scontato.
Ribadisco, quindi, il punto focale del mio discorso: la giustizia, quella vera, non è nel trovare chi ha sceso una scala o chi non l’ha fatto. Non è nel decidere se il macchinista sia colpevole o innocente in base a una porta di servizio. La giustizia che dobbiamo cercare è quella che ci permette di comprendere davvero cos’è successo, di vedere la realtà per quella che è, senza filtri, senza pregiudizi, senza il bisogno di puntare il dito a ogni costo.
E per fare ciò è essenziale che le istituzioni facciano la loro parte, senza nascondersi dietro silenzi o tecnicismi, senza delegare la verità a una serie di dati crittografati che pochi possono leggere. È il diritto di ogni cittadino, di ogni lavoratore, di ogni macchinista sapere cosa è realmente accaduto. E non perché si voglia trovare un colpevole ma perché si vogliono evitare nuove tragedie, nuovi errori, nuovi silenzi.
Allora, amici del gruppo RLS, torniamo all’essenza del problema. Non accontentiamoci di versioni ufficiali che sembrano non reggere all’analisi critica. Non fermiamoci davanti a porte chiuse o a scale non scese. Cerchiamo insieme quella giustizia che non solo punisce ma insegna, previene, costruisce un futuro migliore per tutti.
E ricordate, come già ho scritto: la sicurezza non è un fine in sé, ma un mezzo per vivere meglio. E se vogliamo davvero vivere meglio, dobbiamo prima di tutto capire cosa è andato storto, perché solo così potremo impedire che accada di nuovo.
Vi saluto con rispetto e una rinnovata voglia di verità , sperando che queste parole possano contribuire a un dibattito più sano e a una ricerca più autentica della giustizia.