La proposta di privatizzare parzialmente la rete ferroviaria italiana, lasciando entrare capitali privati nella gestione di un’infrastruttura strategica, solleva non poche preoccupazioni. L’idea può apparire, a prima vista, un’opportunità per raccogliere investimenti e potenziare il sistema, ma rischia di compromettere un bene essenziale per il Paese. La rete ferroviaria non è un semplice asset su cui speculare; è un pilastro che assicura la mobilità, la coesione sociale e la sicurezza dei trasporti.
Privatizzare anche solo una parte della rete significa cedere alla logica del profitto, che non va demonizzata né contestata in quanto tale, ma per le conseguenze che può avere sulla sicurezza e la qualità del servizio. La rete ferroviaria richiede investimenti costanti, una manutenzione attenta e una visione di lungo periodo che solo una gestione pubblica, orientata all’interesse collettivo più che ai guadagni, può garantire. L’esperienza di altri Paesi, come il Regno Unito, ci offre un insegnamento prezioso. Negli anni ’90, il governo britannico decise di privatizzare la rete ferroviaria e affidarla a Railtrack. Nel tentativo di ridurre i costi, Railtrack tagliò le spese per la manutenzione e rinviò investimenti cruciali per la sicurezza. Il risultato non fu entusiasmante: la qualità del servizio peggiorò, e si verificarono gravi incidenti ferroviari che causarono vittime, come nel caso di Hatfield nel 2000. Alla fine il governo fu costretto a riacquisire la rete e a riportarla sotto il controllo pubblico, dimostrando nei fatti l’incompatibilità di una gestione privata, giustamente volta a portare ricavi agli azionisti, con la necessità di garantire la sicurezza pubblica.
In Italia, una lezione altrettanto amara ci è arrivata dalla gestione privata di Autostrade per l’Italia, culminata nel tragico crollo del Ponte Morandi nel 2018. Anche in questo caso, gli interessi economici hanno portato a una riduzione della manutenzione e a un disinteresse per la sicurezza degli utenti. E anche in questo caso, dopo la privatizzazione del 1999, lo Stato nel 2021 si è visto costretto a riprendere il controllo dell’infrastruttura attraverso la Cdp, seppure affiancata da due soci privati, i fondi Blackstone e Macquarie. Non possiamo permetterci di vedere ripetuti questi errori con la nostra rete ferroviaria.
A ciò si aggiunge un ulteriore problema, in questo caso di carattere economico. La gestione privata comporterà inevitabilmente un aumento dei costi per le tracce ferroviarie, ovvero l’accesso alla rete, che ricadranno sulle imprese ferroviarie. Se queste non saranno in grado di assorbire tali costi, questi aumenti si ripercuoteranno di nuovo sulle casse dello Stato e, quindi, sui contribuenti. Lo Stato sarà costretto a intervenire per garantire il servizio di trasporto regionale, fondamentale per la mobilità di milioni di cittadini, e per sostenere la transizione ecologica che impone un passaggio delle merci dalla gomma al ferro, più sostenibile per l’ambiente. La privatizzazione, quindi, rischia di trasformarsi in un meccanismo in cui i costi privati vengono riversati sul settore pubblico, proprio in quelle aree in cui il trasporto ferroviario è essenziale per la collettività e per il futuro sostenibile del Paese.
La rete ferroviaria italiana deve servire tutto il territorio, non solo le aree più redditizie. È un bene comune che collega grandi città, aree interne e comunità più piccole, garantendo il diritto alla mobilità anche a chi vive in zone meno popolate o economicamente svantaggiate. Se lasciamo che i privati si concentrino solo sulle tratte ad alta velocità o sulle linee più frequentate, rischiamo di vedere ridotti o eliminati i servizi per le aree meno remunerative, con un impatto negativo per chi già oggi ha difficoltà ad accedere a un trasporto adeguato.
La rete ferroviaria ha bisogno di una gestione che metta al primo posto la sicurezza e la qualità del servizio, anche dove il ritorno economico non è immediato. Lasciare spazio a capitali privati potrebbe compromettere queste priorità, rendendo la gestione della rete più orientata al breve periodo e meno attenta alle reali necessità dei cittadini. Il conflitto di interessi tra le esigenze degli investitori e quelle del Paese sarebbe infatti inevitabile. Detto questo, va anche sottolineato che da 17 anni la società Rfi, malgrado gli ingenti investimenti e gli oneri per la manutenzione, l’ammodernamento e la crescita della rete, chiude l’esercizio in utile, dimostrando che c’è una discreta attenzione sul conto economico anche da parte della gestione pubblica.
Non va poi dimenticato che la rete ferroviaria è un asset strategico, da cui dipende non solo il trasporto, ma anche l’autonomia economica e la sovranità nazionale. In quest’ottica, cedere il controllo a investitori privati significa non solo perdere di vista l’importanza di una gestione pubblica orientata al bene comune e alla sicurezza, ma anche aumentare la nostra dipendenza da soggetti esterni, con tutte le incertezze che ciò comporta.
Infine, non possiamo ignorare che, in un momento storico in cui la sostenibilità e la transizione ecologica sono considerati obiettivi prioritari, la rete ferroviaria pubblica è fondamentale per ridurre le emissioni e promuovere una mobilità verde e sostenibile. Il trasporto su ferro è, infatti, una delle alternative più ecologiche a quello su gomma. E con una gestione privata il rischio che la sostenibilità ambientale venga messa in secondo rispetto alla sostenibilità economica è più che concreto. Una rete pubblica può invece sostenere con forza questi obiettivi, investendo anche dove il guadagno non è assicurato, ma dove il beneficio per la collettività è indiscutibile.
In sostanza, privatizzare la rete ferroviaria italiana significa compiere una scelta che mette a rischio la sicurezza, la qualità del servizio, l’equità nell’accesso e la sostenibilità ambientale. Il che vuol dire allontanare il sistema di trasporto dalle necessità reali del Paese e creare ulteriori disuguaglianze territoriali. Cosa di cui l’Italia non sente davvero il bisogno. Piuttosto che studiare l’ingresso dei privati, lo Stato dovrebbe preoccuparsi di rendere sempre più efficiente la gestione pubblica della rete, l’unica che può garantire la sicurezza, l’accessibilità e che può dare risposte alle sfide ambientali. Solo così, infatti, possiamo assicurare un futuro in cui il trasporto sia davvero al servizio di tutti.