Abbiamo chiesto a Enrico Sciarra, che nel 2000 era Direttore Regionale Lazio di Trenitalia, un parere sulla preparazione della mobilità dei Giubilei del 2000 e del 2025.
Francesco ha aperto la Porta Santa in S. Pietro.
Sembra ieri e invece sono passati 25 anni, un quarto di secolo.
Un quarto di secolo, per una città di oltre 2.776 anni, è come un battito di ciglia.
Era la sera del dicembre 1999, stava per iniziare l’anno santo del 2000, quello del passaggio di secolo.
Mentre gli altri discutevano (e si preoccupavano) del bug del millennio, noi eravamo al DCTR (Direzione Centrale Trasporto Regionale) a ripassare l’organizzazione, sembravamo una compagnia teatrale prima della Prima più importante.
Noi ancora non lo sapevamo ma non stava per iniziare solo l’Anno Santo, stava per iniziare una delle stagioni più belle e faticose della nostra vita lavorativa nella Direzione Regionale Lazio del Trasporto Locale di Trenitalia.
Mentre si apriva la Porta Santa mi è venuto di riflettere sul tempo che passa e di rivolgere un pensiero a chi non c’è più, a chi ci ha lasciato: colleghi, compagni, amici con i quali si divisero e condivisero gli anni della preparazione e poi della gestione degli eventi giubilari del 2000.
È stato un pensiero di gratitudine serena con gocce di curiosità per non sapere se, da dove sono e come sono, quelli vedono il lavoro dei ferrovieri di oggi e lo stato delle ferrovie e dei trasporti.
Quanto vorrei sentire ancora quel “e va’ bene facciamolo” del ferroviere Giovanni, colonna del DCTR, con l’umanità di uomo del sud o conoscere i pensieri di Willy che sarà ancora vivo, solo apparentemente assorto, a consumare Santi e Beati in trattative interminabili, o vedere Luciano, tra sé e sé, da sotto gli occhiali, pensare ai titoli integrati per viaggiare nel Paradiso, osservare Domenico ancora con la sua serenità e la saggia militanza e poi Stefano, come un regolo, pronto a misurare lo scartamento delle ali degli angeli.
Sono tanti i ferrovieri, di ogni qualifica ed età che, in questi 25 anni, ci hanno lasciato e poi ci sono stati quelli volati via sul lavoro e per il lavoro, quello che erano in vita sono nella memoria di chi è rimasto: ferrovieri per sempre.
La prima volta che ho sentito questa espressione era il 1977 a Bologna a Palazzo Pizzardi, ero stato assunto da pochi minuti, avevo giurato e non ne compresi il senso.
Oggi ne conosco appieno il significato e il senso, ringrazio tutti per quanto mi è stato insegnato sul lavoro.
Per il Giubileo del 2000, in 18 mesi, fu ricostruita una ferrovia fino a Cesano ed elettrificata fino a Viterbo (FR3), e con i ribassi di gara furono realizzati due punti di incrocio sulle FR4; oggi da 28 anni è in costruzione un metropolitana ( C ) che forse sarà ultimata tra altri 12 anni, il Colosseo fu costruito in 8 anni.
Nel 2000 furono messi in servizio 31 treni TAF e per l’estate furono richiamati nel Lazio dalle altre Regioni ulteriori treni. Fu realizzato il primo accordo sull’Agente Unico per i macchinisti, questo permise di affrontare l’incremento dei servizi e per i picchi concentrati ci furono anche i trasfertisti dalle isole più motivati di sempre.
Fu ampliato e rinnovato l’Impianto di manutenzione di Roma Smistamento.
Venticinque anni fa i turni di uomini e macchine furono rivisti ed efficientati e fu realizzata una matrice origine/destinazione chiamata matrice parrocchia/parrocchia che identificò e misurò i flussi dalla parrocchia di origine alla residenza romana (o nella Regione Lazio) dei pellegrini.
Oggi i materiali rotabili necessari saranno disponibili in misura minima solo dall’autunno inoltrato, non è stato aperto un metro in più di ferrovia o di metropolitana (forse a ottobre) e per l’organizzazione del personale la via è quella tradizionale degli accordi di monetizzazione.
Ci furono anche problemi ed emergenze che furono gestite con flessibilità riuscendo a non far alterare mai i programmi.
I ferrovieri erano diffusi nella Città e nella Regione con un piano di presidi e di assistenza che copriva i nodi di scambio e tutti gli eventi del Giubileo
Due epoche diverse, due modi diversi di programmare ed operare.
Oggi si deve sperare che vada tutto bene, che ci sia serenità e pace per i pellegrini e per Roma, anche se non ci sarà un metro in più di metropolitana o di ferrovia. Dobbiamo confidare nell’ accoglienza e nella solidarietà che a Roma possono fare miracoli.
Oltre a confidare e sperare ci vuole impegno civile e umanità per contribuire concretamente al successo dell’anno giubilare.
Faccio il tifo per la mia città e voglio credere che per i pellegrini la venuta a Roma si trasformi nel ricordo di una vita e nel desidero di tornare, perché a Roma tornare è sempre più bello del primo arrivo.
La vera essenza del Giubileo rende ancora più insopportabili i politicanti piazzisti di propagande e annunci di realizzazioni.
Per costoro vale sempre la condanna che nel 1965 cantò un certo Francesco: “Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudini e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto”.
I politicanti passano, come gli assessori e i sindaci, la città no.
Questa è una città che non può considerare il Giubileo un Grande Evento straordinario. La città è cresciuta per secoli grazie alle realizzazioni programmate per i Giubilei. La programmazione dei Giubilei dovrebbe essere una componente strutturale della missione della città e i Giubilei incubatori tali da profilare i diversi ruoli: città della pace, città dell’inclusione, città del rispetto, città comunità, città dell’arte, città del presente e del futuro.
Per questo non ci si dovrebbe ridurre a 2-3 anni dall’apertura con legislazione d’urgenza per decidere e rendere disponibili i finanziamenti.
Il Giubileo non è un’Olimpiade e nemmeno un Expo e certi cosiddetti “Grandi Eventi” rischiano di essere solo grandi distrazioni che non diventano necessariamente occasioni di crescita dei valori che costituiscono una comunità e una città, ma solo festival di narcisi.
Tutto cambia è inevitabile e con la velocità di questi tempi, sconosciuta nel 2000, le innovazioni di questo quarto di secolo confermano che tutto è cambiato profondamente e completamente.
Ma c’è una cosa che non cambia, non cambierà e farà sempre la differenza.
È una cosa che potrebbe ripresentarsi e dispiegare i suoi frutti se ci fosse qualcuno capace di estrarla, con rigore, esempio e serietà, dalla montagna del conformismo e dell’indifferenza.
È un elemento immateriale preziosissimo capace di trasformare un possibile insuccesso in vittoria, il buio in luce la routine in normale straordinarietà.
È un elemento che l’AI non può comprendere, non è capace di valutarne il valore e la profondità.
A Roma di quell’elemento c’è un giacimento, e in passato è stato utilizzato.
Si tratta di quello che riduttivamente chiamano abnegazione, uno stato di grazia nel quale una forza etica atomica trasforma il lavoro in una militanza, l’impegno in dedizione e l’onestà in contesto.
Se si riuscisse a innescare questo processo in modo collettivo e condiviso nei luoghi di lavoro e nelle professioni, allora, anche non avendo un metro in più di ferrovia e metropolitana, si potrebbe confidare nel futuro dell’anno giubilare e nell’accoglienza dei pellegrini.
Nel 2000 ci fu la scintilla di innesco che scatenò un incendio.
Oggi non vedo scintille. C’è una risacca di accomodamenti e una burocratizzazione dei comportamenti che trasforma tutto in apparenza da comunicare.
Venticinque anni fa ho conosciuto colleghi e colleghe che stavano da decenni dietro la stessa scrivania e nell’anno giubilare uscirono dagli Uffici macinando decine e decine di chilometri in assistenza e presidi, con una efficienza e una passione straordinarie, poi la sera mettevano i piedi a mollo nel bicarbonato per ricominciare l’indomani.
Ho visto ferrovieri che non entravano in chiesa da quando avevano i calzoni corti accompagnare plotoni di sacerdoti e suore spiegando loro il giro delle Basiliche.
Ho visto gli irriducibili del conflitto chiudere gli occhi e tutto quello che si poteva chiudere per scortare contenti, a fine giornata e turno, un treno che doveva riportare i pellegrini, che a Termini cantavano e pregavano, al loro paese e casa.
Ho visto gentilezza senza cinismo e passione senza doppiezze.
Ho visto tanto e di più, ma era normalità vissuta perché c’era motivazione e soprattutto passione, normalità che non si riesce a vedere oggi, sperando, sempre, che sia un mio limite o una teoria di errori da miopia.
Quanto scritto è un modo per rinnovare gli Auguri ai ferrovieri e ai lavoratori dei trasporti che sono impegnati nel Giubileo in corso e ai pellegrini che hanno programmato o stanno programmando il viaggio a Roma.
Auguri di cuore ai ferrovieri che lavorarono nel 2000 per un loro reincontro, magari durante il Giubileo dei Lavoratori il Primo Maggio 2025, essendo scientificamente provato che si è: “ ferrovieri per sempre”.
Ed è cosa assai diversa dall’essere “sempre fedeli” o “nei secoli fedeli”.
Enrico Sciarra