LO SMART WORKING UNO STRUMENTO UTILE, NON UN PRIVILEGIO

Lo smart working, in Italia, dal 2020 è diventato uno strumento utilizzato nelle aziende da almeno 2 milioni di lavoratori per affrontare la pandemia che si è rivelato essere un elemento oggi essenziale nella vita di molte aziende e dei lavoratori. Diverse leggi di bilancio nel frattempo hanno apportato modifiche per ampliarne e regolamentarne l’utilizzo e sebbene i risultati produttivi si siano dimostrati altamente positivi, in molte aziende, almeno a livello locale, viene visto ancora con scetticismo e le azioni delle direzioni del personale sono spesso prese in ottica di restrizione dello strumento non nascondendo, durante le normali relazioni industriali, una visione negativa sicuramente dettata da problematiche organizzative interne che non riescono a trovare un giusto coordinamento fra lavoro in presenza e quello in regime di smart working. Molto spesso lo stesso rapporto viene lasciato alla libera determinazione dei diversi responsabili comportandone una applicazione difforme tra varie strutture a danno degli interessi dei lavoratori.

Se diamo uno sguardo a livello internazionale, a parte la Cina che, dopo la pandemia, consente l’utilizzo dello strumento in modo più restrittivo e consentendolo solo per determinate categorie di lavoratori, in generale si ha una tendenza a una regolamentazione in termini di ampliamento della facoltà di suo godimento da parte dei dipendenti; negli USA il Fair Labor Standards act si è sviluppato nella regolamentazione dei diritti dei lavoratori e nella definizione di retribuzioni minime che ne garantiscano una equa applicabilità.

In Europa, sebbene la normativa di riferimento sia la stessa, in Germania non si è voluto dedicare una disciplina ad hoc per l’istituto in oggetto, la Francia ha ampliato nel 2020 alcuni accordi presenti nel codice nazionale del lavoro, mentre Finlandia e Danimarca differenziano tra ruoli e mansioni in base alle possibilità di lavoro a distanza.

Esempio invece di importante evoluzione sta avvenendo in India e nei Paesi Arabi.

Un ruolo fondamentale lo avrà Il World Economic Forum (WEF) che ha il compito di studiare le politiche del mondo del lavoro e analizzarne gli effetti.

L’interrogativo è quello che nelle future contrattazioni si riesca a coordinare lo smart working con le crescenti richieste di riduzione dell’orario di lavoro verso un’ottica di effettivo “lavoro agile” senza che ciò comporti una riduzione delle retribuzioni che ne limitino il suo utilizzo.

In Italia è chiaro che tale politica potrà trovare una valida affermazione solo attraverso uno sviluppo di una concezione in termini positivi dello smart working, ciò richiede alle parti in causa, dirigenza e organizzazioni sindacali, lo sviluppo di una concezione che si disarticoli da una visione del lavoro rigida e avversa ai cambiamenti che le politiche del mondo del lavoro richiedono.

I lavoratori chiedono questo cambiamento per migliorare la qualità della propria vita e poter lavorare nelle condizioni che possano consentirgli di aumentare la qualità della propria prestazione e senza che ciò ne determini una riduzione retributiva.

Categoria: Attualità

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Article by: Cristian Iacopino