I dati contenuti nel Rapporto mondiale dell’OIL sui salari 2024–2025 mostrano con chiarezza la specificità negativa del nostro Paese: l’Italia è l’unica tra le economie avanzate del G20 in cui i salari reali sono ancora inferiori a quelli del 2008.
Una perdita dell’8,7% che non può essere spiegata né imputata semplicemente alle turbolenze economiche recenti. Le radici sono più profonde e risalgono ad almeno due decenni.
Per molti anni, nel nostro Paese, i salari sono cresciuti più della produttività.
Un’anomalia che ha generato squilibri e ridotto la competitività. Dal 1999 al 2020, mentre altrove la produttività aumentava anche del 30%, in Italia si contraeva del 3%. Di conseguenza, per tenere in piedi il sistema, si è proceduto con “prudenza sugli aumenti retributivi”, talvolta scaricando l’aggiustamento sulle condizioni lavorative.
Negli ultimi tre anni, però, qualcosa è cambiato. La produttività ha iniziato a crescere a ritmi superiori a quelli salariali. Questa dinamica, se consolidata, rappresenta un’opportunità per ridare fiato alla contrattazione e ricostruire quel rapporto virtuoso tra salario e valore aggiunto che in molti settori si è smarrito.
In questa prospettiva, la proposta che come sindacato dei trasporti mettiamo in campo non è ideologica né astratta ma costruita su basi di sostenibilità e responsabilità. Il recupero del potere d’acquisto non può essere affidato a un solo strumento.
Serve un approccio multilivello, fondato su un mix intelligente tra progressiva crescita salariale e graduale riduzione dell’orario settimanale di lavoro fino a 36 ore, compatibilmente con l’evoluzione della produttività e delle condizioni aziendali.
Non servono slogan, servono strumenti. Ogni contratto collettivo dovrebbe prevedere commissioni permanenti di monitoraggio, composte da rappresentanti sindacali e datoriali, capaci di leggere e valutare i dati economici – produttività, investimenti, andamento inflattivo, benessere organizzativo – e orientare su quella base le scelte di merito: aumenti, orari, premi.
Occorre inoltre introdurre una valorizzazione strutturale della professionalità. Non basta più solo la rigidità degli scatti automatici: proponiamo l’introduzione di un salario professionale aggiuntivo, definito su parametri chiari (esperienza, responsabilità, formazione continua), per superare l’appiattimento salariale che penalizza chi si assume oneri maggiori.
Nel settore dei trasporti, dove il lavoro in presenza è centrale per garantire servizi essenziali, va promosso anche un ragionamento attento sulla combinazione ottimale tra attività in presenza e lavoro agile, dove possibile, per migliorare l’organizzazione, ridurre gli sprechi e aumentare la qualità del servizio.
Infine, va rinnovata con decisione la logica premiale, superando modelli generalisti per concentrarsi su strumenti realmente collegati alla performance: premi di risultato, welfare contrattuale, bonus legati al clima aziendale e agli obiettivi di squadra, con meccanismi trasparenti e verificabili.
Non chiediamo aumenti per decreto, né redistribuzioni scollegate dai fondamentali economici. Proponiamo una visione concreta in cui il lavoro torni a essere un fattore di crescita, non una variabile di compensazione.
Rilanciare i salari significa rilanciare la produttività. E viceversa. Per farlo serve una nuova cultura contrattuale, fondata sull’equilibrio tra competitività e dignità.
Il sindacato oggi deve saper parlare a chi lavora, ma anche a chi investe, rischia e innova. Solo in questo patto – tra lavoro, impresa e società – può nascere una stagione nuova, all’altezza delle sfide del nostro tempo.