CCNL MOBILITÀ AREA A.F.: UN CONTRATTO IMPERFETTO MA NECESSARIO.

Il coraggio della responsabilità


C’è un momento, nelle grandi vertenze sindacali, in cui si arriva al bivio. Firmare o non firmare. Accettare un compromesso utile o resistere in nome di un ideale più puro ma, forse, più distante. È in quel momento che un sindacato misura davvero la propria statura. E oggi, dopo diciotto mesi di trattativa per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della Mobilità – Area Attività Ferroviarie, quel momento è arrivato per tutti, nessuno escluso. Il contratto siglato lo scorso 22 maggio non è la vittoria di nessuno, ma nemmeno la resa che alcuni temono. È, piuttosto, il frutto di una lunga e difficile battaglia, in cui FAST-Confsal ha scelto di non seguire scorciatoie. Abbiamo rifiutato compromessi al ribasso, detto no a chi ci invitava a sederci al tavolo senza dignità contrattuale e difeso con coerenza i punti cardine della nostra piattaforma con tutte le forze che siamo riusciti a mettere in campo.

Abbiamo scioperato quando ci dicevano che non serviva. Abbiamo continuato a trattare anche quando la porta sembrava chiusa. E quando siamo stati richiamati al tavolo non lo abbiamo fatto per convenienza, ma per responsabilità. Perché un contratto firmato a metà, in un contesto così delicato, non avrebbe avuto né forza né credibilità. E perché l’unico giudice legittimo del nostro operato resta chi lavora ogni giorno nei treni, nei depositi, nei turni notturni e nelle cabine di manovra. Chi si aspettava un contratto perfetto resterà deluso ma la perfezione, in queste condizioni, non era sul tavolo. Abbiamo ottenuto aumenti medi che, pur non colmando completamente il gap inflattivo, superano l’indice IPCA previsto dagli accordi interconfederali; una coerente e dignitosa una tantum; revisioni normative importanti, strumenti nuovi in materia di salute e sicurezza come la Stop Work Authority e l’RLS di sito; il rafforzamento del secondo livello nel Gruppo FSI con aumenti economici sopra ogni ragionevole previsione, il potenziamento della previdenza complementare, miglioramenti sulle indennità legate alla produttività e sull’equilibrio vita-lavoro.

Tuttavia, nessuno qui si nasconde dietro i risultati. Restano nodi irrisolti tipo: l’agente solo notturno, il servizio di “riserva” e il riconoscimento del tempo di manovra, la questione ferie che non può restare affidata ai tribunali e la condizione del personale degli appalti, che deve avere garanzie di dignità almeno pari a quelle interne. Il nostro Direttivo Nazionale, riunitosi a Montesilvano il 28 e 29 maggio, ha deciso di non confermare subito la firma. Ha dato mandato alla Segreteria Nazionale di cercare ogni possibile miglioramento entro giugno, aprendo un confronto continuo e subordinando ogni decisione finale a un referendum democratico e al passaggio statutario della Direzione Operativa. Non un rifiuto ideologico ma una posizione responsabile, costruita sul rispetto del mandato ricevuto e sulla volontà di dare voce a ogni lavoratore. Noi rispettiamo tutte le posizioni delle altre OO.SS. comprese le voci di dissenso auto-organizzate, ma rivendichiamo la nostra con altrettanta fermezza: costruire, non distruggere; fare sindacato, non testimonianza; restare soli, se necessario, ma mai inutili.

A chi ci chiede se si poteva ottenere di più, rispondiamo con franchezza: forse sì, forse no. Sinceramente, pensiamo che noi più di questo non potevamo fare ma non era il tempo degli assalti alla baionetta. L’immagine della cavalleria polacca che si lancia contro i panzer è suggestiva, ma tragicamente inutile. Noi, invece, abbiamo voluto costruire. Abbiamo seminato, spesso in solitudine e oggi possiamo dire di non essere stati sconfitti. In un tempo difficile, abbiamo ottenuto un bene possibile. E se anche non è il meglio, ricordo una frase che Voltaire pronunciò e che Antonio Rosmini, da tutt’altro orizzonte culturale, fece sua: “Il meglio è nemico del bene.” Quando la ragione laica e la coscienza cristiana si incontrano su una stessa verità, forse significa che quella verità ha un fondamento più profondo: non si sacrifica ciò che è utile e ottenibile per inseguire ciò che è perfetto ma irraggiungibile.

Il giudizio vero non si scrive oggi. Si scriverà a dicembre 2026 quando, eventualmente, saremo di nuovo al tavolo a dovere scegliere di nuovo la strada; sarà allora che capiremo se questa è stata una tappa o un inciampo. Ma per arrivare forti a quella scadenza serve una scelta di maturità. Ecco perché chiediamo che si svolga un referendum. Non per scaricare la responsabilità ma per costruire insieme una decisione condivisa. Un referendum che, però, deve essere gestito con intelligenza: non può ridursi a una conta tra blocchi, né a una somma di numeri. Perché ci sono categorie – il personale mobile, i turnisti, i tecnici, il personale della vendita e quelli degli appalti – che hanno un peso contrattuale enorme ma che nei numeri sono minoranza. Eppure sono loro, spesso, a portare sulle spalle i carichi più gravosi. Non possiamo accettare che le loro istanze siano silenziate in nome della maggioranza. Serve una valutazione qualitativa, che tenga conto della specificità dei mestieri e della distribuzione reale della fatica. Rappresentare significa anche questo: ascoltare chi ha meno voce ma più esposizione.

Dunque sì al referendum, ma un sì consapevole, maturo, rispettoso. Non solo per decidere se firmare o no ma per dimostrare che una comunità di lavoro sa scegliere, discutere, riconoscersi. E sa farlo senza slogan, senza tifoserie, senza semplificazioni. Perché il nostro compito non è firmare un foglio. È rappresentare dignità, fatica e aspirazioni. Sempre.

E noi, come FAST-Confsal, continueremo a farlo. Con la schiena dritta. E con lo sguardo avanti.

Categoria: L'Editoriale

Tags:

Article by: Pietro Serbassi