UN SISTEMA IN RITARDO: IL CONTRATTO FIRMATO E QUELLO CHE NON SI PUÒ FIRMARE

C’è un’Italia che firma e un’Italia che attende.

Una parte del mondo dei trasporti sigla un contratto, l’altra non riesce neanche a vedere la bozza. Sembra una questione tecnica, ma dietro c’è tutto: la struttura del sistema, la tenuta delle relazioni industriali, il valore dato – o negato – al lavoro. Il rinnovo del CCNL dei gestori aeroportuali e l’ipotesi di accordo per il contratto dei ferrovieri raccontano due storie diverse.

Non due semplici cronache di trattative, ma due paradigmi opposti. E capirne le ragioni è il primo passo per leggere davvero il presente.

Nel trasporto aereo si è firmato un rinnovo contrattuale che, nella forma, sana un vuoto durato oltre tre anni, ma nella sostanza lascia l’amaro in bocca. La decorrenza economica parte dal gennaio 2025, cancellando con un tratto di penna trentasei mesi in cui i lavoratori hanno continuato a operare senza adeguamento retributivo. L’una tantum prevista – 1.800 euro – appare modesta, se rapportata all’inflazione accumulata nel periodo e agli utili che molte aziende del comparto, nonostante le turbolenze, hanno realizzato. Si firma, dunque, ma si firma al ribasso. Non per scelta, ma per assenza di margini reali.

La contrattazione di settore è ormai una liturgia stanca, indebolita da una frammentazione cronica: aeroporti gestiti da società diverse, modelli organizzativi divergenti, interessi spesso più localistici che collettivi. Il fronte datoriale detta i tempi, i sindacati subiscono, inseguono, e talvolta si accontentano di ciò che passa il convento.

ITA Airways, l’ex compagnia di bandiera ora in fase di transizione sotto Lufthansa, è il simbolo di questa crisi di visione. Ha presentato un piano industriale che parla di lungo raggio, stagionalità e rotte intercontinentali. Ma non dice nulla di concreto sulle condizioni di chi quei voli dovrebbe farli partire. Il personale resta in attesa: non solo di un contratto, ma di chiarezza.

Il contratto collettivo nazionale del trasporto aereo è fermo, impantanato tra ipotesi mai arrivate al tavolo, trattative mai partite davvero, e una crisi di rappresentanza che rende ogni passo difficile.

Non si firma perché non ci sono ancora le condizioni per farlo.

Non c’è un impianto economico definito, non c’è una piattaforma condivisa. C’è, invece, un ritardo sistemico aggravato da un vuoto di visione politica e istituzionale. Chi lavora in volo e a terra – piloti, assistenti, addetti al check-in, operatori di scalo – vive in un limbo. Con regole scadute, salari fermi e una narrazione pubblica che parla di rilancio, ma dimentica il lavoro.

Nel settore ferroviario, il quadro è diverso. Il CCNL Mobilità – Area Attività Ferroviarie è stato oggetto di un’ipotesi di rinnovo il 22 maggio scorso.

L’accordo non è ancora firmato, ma la sua struttura è chiara, la trattativa si è svolta per diciotto mesi e ha prodotto un testo che FAST-Confsal, con responsabilità, ha scelto di sottoporre ai proprio organismi statutari e se condiviso dalle altre sigle sindacali anche ai lavoratori attraverso un referendum. È un contratto imperfetto, certo, ma è reale. Non cancella retroattivamente anni di mancato rinnovo, anzi riconosce economicamente il periodo dal gennaio 2024, con una una-tantum e aumenti che superano l’IPCA. Ha contenuti normativi che vanno nella direzione della sicurezza e della qualità del lavoro, certamente sono scelte “timide”, ma segnano un cambio di tendenza rispetto al passato.

Si può discutere su cosa manchi ancora – dalle ferie, alla gestione delle riserve, alla regolazione dei riposi, dalla condizione degli appalti alla questione dell’agente solo – ma si parte da un testo che esiste, su cui ci si confronta, si può modificare, migliorare, difendere. E soprattutto, si sceglie con trasparenza, con strumenti democratici, rifiutiando i diktat imposti dall’alto.

La differenza tra i due casi non è nei numeri, ma nel metodo. Nel trasporto aereo si ratificano scelte già fatte, in ritardo, con poco spazio per incidere davvero. Nel ferroviario si è provato a costruire, anche in solitudine, un percorso di confronto. Laddove ci sono soggetti come Trenitalia e Mercitalia Rail che siedono al tavolo con una rappresentanza solida, si può discutere, anche aspramente, ma si discute. Dove invece il settore è frammentato tra decine di gestori, holding, consorzi e appaltatori, la contrattazione perde peso, si riduce a firma su bozze scritte altrove.

Non è una questione di sindacati forti o deboli, ma di sistema.

Di struttura produttiva, di interlocutori chiari, di regole condivise. Il trasporto ferroviario, nonostante tutto, conserva ancora un baricentro. Il trasporto aereo lo ha perso da anni, tra privatizzazioni mal gestite e liberalizzazioni senza guida. E questo si riflette nei contratti. Uno si firma (o si rifiuta) consapevolmente. L’altro si subisce.

Chi lavora nel trasporto non chiede miracoli. Chiede rispetto. Chiede che il proprio tempo venga riconosciuto per ciò che è: non una variabile marginale del bilancio, ma la sostanza stessa del servizio. E chiede che ogni firma, ogni accordo, ogni piano, parta da una verità semplice: dietro ogni treno, ogni volo, ogni check-in, ci sono vite. Se questo viene ignorato, non ci sarà contratto che tenga.

Categoria: L'Editoriale

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Article by: Pietro Serbassi