QUANDO L’INNOVAZIONE CORRE PIù VELOCE DELLA CABINA DI GUIDA

L’infrastruttura cresce, i sistemi si modernizzano, ma la formazione resta indietro. Senza il contributo della trazione, il sistema ferroviario continua a funzionare “a 270 gradi”.


Il nuovo tratto di linea ferroviaria Caserta–Foggia, parte del grande progetto Napoli–Bari, è stato salutato con toni trionfali. Un’infrastruttura moderna, con apparati centralizzati all’avanguardia, nuove gallerie, segnalamento più sofisticato, sistemi di sicurezza aggiornati e un tracciato completamente ripensato. Sulla carta, un passo avanti per la mobilità del Mezzogiorno e per l’intero Paese. Ma dietro l’entusiasmo istituzionale si nasconde una criticità che i macchinisti conoscono bene: l’assenza di una vera formazione preventiva e di un confronto operativo prima dell’entrata in esercizio.

Non si tratta di cavilli burocratici o di resistenze al cambiamento. La questione è di sicurezza, quella reale, quotidiana, che si vive in cabina di guida. I documenti parlano chiaro: con la recente attivazione, sono stati soppressi interi tratti di linea, cancellate stazioni storiche come Maddaloni Superiore e Valle di Maddaloni, introdotti nuovi apparati ACC-M multistazione, cambiata la logica dei blocchi automatici, modificata la disposizione dei segnali e dei punti di protezione, aperta una nuova fermata a Valle di Maddaloni e resa operativa una galleria strategica come quella di Monte Aglio. A queste novità si aggiungono nuove cabine elettriche, dispositivi di stabilizzazione per i mezzi d’opera e, soprattutto, un assetto di esercizio diverso, con transizioni tecnologiche che coinvolgono direttamente il macchinista.

Ora, immaginate di dover guidare su un percorso mai visto, con segnali in posizioni nuove, limiti di velocità cambiati e regimi di circolazione rivisti. E di ricevere come preparazione soltanto una circolare tecnica da leggere. È come chiedere a un pilota di aerei di atterrare in un aeroporto appena costruito, con piste e segnali diversi da quelli abituali, consegnandogli solo la piantina aggiornata. Un rischio inutile, che si potrebbe evitare con sopralluoghi e formazione mirata, come in passato era prassi.

E qui sta il nodo. Negli anni Duemila, l’allora amministratore delegato Mauro Moretti, subito dopo la “divisionalizzazione”, aveva voluto inserire nelle strutture territoriali di RFI gli “istruttori di condotta”: figure incaricate di portare dentro il processo decisionale la prospettiva dei macchinisti, cioè di chi ogni giorno vive l’interfaccia con il gestore infrastruttura attraverso i segnali, lo SCMT o l’ERTMS e di servire da efficace canale di collegamento tra le imprese ferroviarie e il gestore dell’infrastruttura. Era un’intuizione semplice ma rivoluzionaria: garantire che chi progetta, chi gestisce la circolazione e chi guida parlassero lo stesso linguaggio. Oggi, quella scelta è stata abbandonata, e il sistema funziona solo “a 270 gradi”, manca il quarto angolo: la trazione.

Il risultato è che le decisioni si prendono in modo unilaterale, spesso privilegiando le esigenze costruttive rispetto a quelle della circolazione dei treni e le imprese ferroviarie vengono messe al corrente delle modifiche solo a giochi fatti. Prima si costruisce la casa, poi si avvisano gli inquilini. Ma se le finestre risultano troppo alte o la luce non entra, è tardi per rimediare. La sicurezza ferroviaria non può ridursi a un aggiornamento burocratico dei fascicoli di linea: dev’essere il frutto di una progettazione condivisa, che includa chi ogni giorno sarà chiamato a tradurre quei progetti in azione reale, a 160 km/h e più, con centinaia di passeggeri a bordo.

Le normative già lo prevedono. Lo standard di conoscenza degli impianti, come richiamato da ANSFISA e dallo stesso Gestore dell’Infrastruttura, stabilisce che in caso di modifiche sostanziali e sarebbe davvero il caso di chiarire e specificare il significato dell’aggettivo “sostanziale”, occorre aggiornare non solo i documenti, ma anche la formazione dei macchinisti. In passato, ogni attivazione importante comportava visite linea, prove di condotta, esercitazioni mirate. Oggi, troppo spesso, tutto si riduce a un’informativa scritta. Una semplificazione che non tiene conto della realtà: perché la visibilità dei segnali, l’interpretazione delle nuove logiche di blocco o la gestione di un ACC-M non si assimilano con un foglio di carta, magari distrattamente tra un’informativa e l’altra, ricevute su un supporto informatico come il tablet.

E non si tratta di difendere un interesse corporativo. È il cuore stesso del sistema sicurezza. Senza conoscenza pratica, il rischio di errori aumenta. Un segnale nascosto da una curva o mal visibile di notte può generare un evento critico. Un macchinista che non ha mai percorso un tratto di galleria non sa, fino al primo viaggio, come reagiscono i sistemi di bordo alle nuove logiche. Sono dettagli che possono fare la differenza tra normalità e criticità.

Per questo, come FAST-Confsal, chiediamo che venga ristabilita una figura trazionista di RFI in ogni Direzione Operativa Infrastrutture Territoriali, all’interno delle Unità Sicurezza o, ancor meglio, dipendente da una struttura centrale “super partes” come il “progetto Moretti” prevedeva. Non per complicare l’organizzazione, ma per completarla. Quel trazionista dovrebbe essere il garante del confronto con le imprese ferroviarie e con la Direzione Circolazione, colui che partecipa ai sopralluoghi, valuta la visibilità dei segnali, partecipa alle inchieste e coordina la formazione pratica. Sarebbe il “quarto angolo” che oggi manca, l’elemento che chiude il cerchio della sicurezza a 360 gradi.

Le nostre proposte sono chiare: ogni nuova attivazione o modifica sostanziale deve prevedere sopralluoghi obbligatori con i macchinisti, formazione mirata prima della messa in esercizio e un test dinamico sul campo. Non basta aggiornare i fascicoli né confidare che la tecnologia copra tutto. La sicurezza ferroviaria è fatta di persone e procedure, oltre che di apparati elettronici. E se l’infrastruttura corre veloce, anche la formazione deve stare al passo.

Il nuovo tracciato Caserta–Foggia è un esempio emblematico: un’opera importante, che rischia però di nascere con una fragilità organizzativa. Non è accettabile che i macchinisti vengano messi davanti al fatto compiuto. L’Italia ha bisogno di infrastrutture moderne, ma anche di sicurezza integrale. La vera innovazione sarà quando torneremo a pensare e progettare non solo per chi costruisce gli impianti, ma anche per chi li vive ogni giorno dal banco di guida. Solo così potremo dire che il nostro sistema ferroviario funziona davvero a 360 gradi.

Categoria: Interventi

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Article by: Redazione