DAL “DOPO CAROSELLO A NANNA” AL “POPOLO DI FERRO”: QUANDO LA PUBBLICITÀ DIMENTICA LA REALTÀ

Dalle storie che emozionavano un Paese in bianco e nero alle campagne patinate che confondono missione e reputazione: Enel tocca il cuore, Poste ci prova, Ferrovie lo smarrisce tra ferro e retorica.


Il 1° gennaio 1977 finì il mitico Carosello, era andato in onda la prima volta il 3 febbraio 1957.

In 20 anni aveva inchiodato davanti al televisore fino a 19 milioni di spettatori anche se per i più piccoli si diceva e faceva: “dopo Carosello a nanna”. La pubblicità era una scoperta, accompagnava il boom economico.

Tutti i più grandi dello spettacolo, prima o poi, girarono un Carosello tra i quali: Mina, Virna Lisi, Dario Fo, Macario, Bramieri, Calindri, Taranto, Foà, Carotenuto, Arbore e poi registi come: Fellini, Emmer, Gillo Pontecorvo, Eros Macchi e Luigi Magni.

In passato un protagonista della pubblicità si legava ad un prodotto per lustri e decenni, oggi un protagonista pubblicizza con la sua immagine decine e decine di prodotti nello stesso tempo.

La pubblicità è cambiata come è cambiato il paese, come sono cambiati i consumatori come è cambiata la casalinga di Voghera.

Oggi la committenza con la pubblicità non promuove solo il prodotto ma cerca il posizionamento della propria missione nella società, cerca di accrescere la reputazione, punta ad affermare uno stile.

In una campagna si possono trovare segnali espliciti e altri subliminali. Le campagne corrono e inducono “i consumatori” sul confine del pensiero conscio e inconscio.

Alcune campagne sono più lontane da quel confine e suscitano emozioni che fungono da ancoraggio alla realtà, ai colori reali della vita, altre campagne, intrise di autoreferenzialità e autocelebrazione trionfante, corrono su quel confine con numerosi sconfinamenti.

Sono in corso tre campagne di tre grandi Aziende: Poste Italiane, Enel e Ferrovie dello stato.

Fermo restando quello che si dice su’ “de gustibus” si può ragionare.

Delle tre campagne pubblicitarie citate la migliore è quella di Enel, la peggiore è quella di Ferrovie dello Stato.

La campagna di Poste Italiane è dignitosa e riesce ed emozionare e incuriosire ma come testimone esterno di una storia di innamoramento. Il racconto, dopo i diversi passaggi, subisce una riduzione dell’effetto, anche per questo alla storia è legato l’invito commerciale di recarsi presso le Poste “e ti innamori anche tu”.

La campagna di ENEL è straordinaria, è la vestizione di alcune strofe del brano Eroi cantato da Fiorella Mannoia, girata tanto bene da risultare superiore al video ufficiale del brano.

Le immagini corrono e si vedono volti con tutti i colori del Paese reale, le scene e l’insistenza dei piani, sono del paese reale, va ascoltata e vista con attenzione fotogramma per fotogramma, non c’è nessun comunicato commerciale solo alla fine si compone la scritta “ENEL. L’energia delle emozioni” sul volto di una ragazza appena laureata.

Poi c’è la campagna di Ferrovie dello Stato: “L’emozione di essere italiani,” che non emoziona. Comincia con una domanda “Cosa ci rende davvero italiani” seguono risposte e una conclusione “Eh si siamo proprio un popolo di ferro”. Il ferro è il filo conduttore di ogni affermazione e presunta qualità degli italiani.

Esagera nel descrivere le qualità del Paese per testimoniare la ferrosità  declina: le strade, i ponti, le ferrovie.

Una descrizione tutta costruita sulla cifra del “presente”,  migliore possibile.

Il consumatore, che non è collocato e collocabile sul confine di cui si e detto, invece di emozionarsi fa subito il raffronto con la propria esperienza personale e reale  rispetto alle strade, ai treni e ai ponti e il confronto ha un segno meno meno.

Proprio il richiamo ai ponti sembra insistere di più su quel confine, conscio- subliminale, per far pensare ai ponti o al ponte che verrà e far dimenticare le tragedie legate ai ponti (non solo Morandi).

Non si affronta l’Italia delle mancate manutenzioni invocando il ferro.

Nella campagna si riflette lo stato dell’Azienda FS, una grande Azienda con decine di migliaia di donne e uomini non di ferro ma umanissimi, coraggiosi, professionali che fanno il proprio dovere ogni giorno rappresentando un vero patrimonio e una ricchezza per il paese.

Un’Azienda “resiliente” che continua ad essere grande nonostante quello a cui è stata sottoposta con assalti di management senza conoscenza e rispetto per le ferrovie provenienti da altri mondi, composto da venditori di PC, venditori di auto, di vespe, di mutande e via dicendo settori merceologici.

Anni fa ci fu un cambio orario invernale disastroso, e i ferrovieri chiesero: “La ferrovia ai ferrovieri” cioè chiedevano e volevano che gli amministratori e i capi che fossero ferrovieri e quelli con tutti i ferrovieri risollevarono l’Azienda.

La campagna non recupera reputazione, impresa difficilissima anche per la migliore agenzia del mondo, ma poteva lasciare il ferro ai binari e centrarsi sulle persone che su quei binari lavorano, poteva far vedere la fatica del lavoro dei ferrovieri, la responsabilità nel lavoro e il lavoro turnato, poteva avere meno pompa e più realtà riferendosi (dicasi anche solo riferendosi) all’annus horribilis dei ritardi,  spiegando gli sforzi in atto per recuperare.

Poteva parlare ai clienti/utenti, descriverli per come sono e vivono il viaggio e non solo sull’AV ma soprattutto agli utenti del trasporto locale Regionale che vivono e difendono il treno come eroi, perché il treno dopo anni entra nei loro bioritmi

Risulta una campagna senza popolo, altro che ferro, siamo al cerone e al borotalco.

Nella campagna di Enel alcuni piangono e viene in mente l’ultima scena  di Filomena Marturano che affacciata al balcone dice  “ Dome’ quant’è bello chiagne”.

Forse qualche cliente-utente di ferrovie ha pianto, sicuramente si è incazzato, tutto questo si poteva trattare con lealtà e intelligenza.

Poteva, ma la campagna ha cercato altro, forse perché la committenza voleva e cercava altro.

Anche nella campagna di FS non c’è il comunicato commerciale diretto ma la reputazione, nonostante la bella immagine finale della ferroviera, non migliora.

La catena informazioni-comunicazioni-pubblicità quando è surrogatoria e sostitutiva della realtà non funziona.

A volte in periodi di crisi è più saggio non comunicare ma solo informare sulle tecnicalità messe in atto e lavorare silenziosamente alle soluzioni.

Il treno non è più “un mito di progresso sopra i continenti”, ma nel suo continuo evolvere sulle rotaie e con le rotaie, il treno è un mito di futuro e nel futuro lo porteranno i ferrovieri che non sono più quelli di una volta, come quelli di una volta non erano come quelli di Pietro Germi, ma il segreto e la ricchezza misconosciute dall’Azienda è che sempre ferrovieri sono e rimarranno con una coscienza d’acciaio.

Categoria: Pensieri & Parole

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Article by: Enrico Sciarra